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(L-r) LEONARDO DI CAPRIO and Director/Writer/Producer PAUL THOMAS ANDERSON on the set of “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release.
(sono considerati i film usciti in Italia dall’1 gennaio al 31 dicembre 2025)
L’amore che non muore di Gilles Lellouche
Anni Ottanta, nord della Francia. Jackie studia, Clotaire delinque. Crescono tra i banchi del liceo, si innamorano. La vita criminale li separa; il cuore li ritrova. Lellouche aderisce al genere, anzi, i generi e guarda al grande pubblico, miscela con intelligenza e resa plastica crime, musica(l) e romantic comedy, coreografie accattivanti, volume a palla e sursum corda, legge della strada e bivi esistenziali, amor fou e ei fu (tanti i caduti), sapienza drammaturgica, tenuta narrativa, capacità emotiva. – la nostra recensione


Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson
Un rivoluzionario imparanoiato (Leonardo DiCaprio) sopravvive ai margini della società insieme alla figlia (la rivelazione Chase Infiniti), che scompare quando rispunta il suo acerrimo nemico (Sean Penn). La cronaca è provvida di analogie: gli spari sopra sono per noi. A deflagrare è molto altro: il rapporto padre-figlia, il suprematismo bianco, la rivoluzione (mancata), le misure anti-immigrazione, il libero arbitrio, l’autodeterminazione femminile. Anderson di lotta e governo: l’America oggi, ieri e domani. – la nostra recensione


(L-r) TEYANA TAYLOR as Perfidia and LEONARDO DI CAPRIO as Bob Ferguson in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release.OBAA-DUS-250113-0005-4
(Photo Courtesy Warner Bros. Pictures)Le città di pianura di Francesco Sossai
Carlobianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla) vivono per l’ultimo bicchiere. Una notte, in macchina da un bar all’altro, trovano Giulio (Filippo Scotti), timido studente di architettura. Un road movie di gusto provinciale e sostanza esistenziale, un film in direzione contraria ma non ostinata, tutto al maschile ma non tossico, tutto di pianura ma con saliscendi umanissimi: un buddy movie antropologico e surreale, sulle orme di Mazzacurati e i disimpegni di Jarmusch, il sentire/sentore di Kaurismaki e la verticalità estrema di Carlo Scarpa. – la nostra recensione


A Complete Unknown di James Mangold
Bob Dylan attraverso le sue canzoni: serve altro? Mangold intuisce che non c’è biopic che tenga dinnanzi alla potenza del mito, che è mito proprio per la forza di evidenza e persuasione che emana. Non usa la musica per fare cinema ma, al contrario, utilizzare tutti gli espedienti tecnico-stilistici del cinema per restituirne la grandezza musicale. E costruisce una limpida testimonianza di libertà, di integrità morale e di purezza artistica, con un meraviglioso Timothée Chalamet (che ha imparato a suonare anche chitarra e armonica). – la nostra recensione


Die My Love di Lynne Ramsay
Un film girato in 35mm, in 4:3, che la stessa autrice definisce un “portrait movie”: un ritratto concentrato sulla figura di Grace, giovane madre trasferita dal caos di New York alla provincia rurale del Montana, travolta da depressione e psicosi post-partum. Jennifer Lawrence è al quinto mese di gravidanza durante le riprese, Ramsay (autrice coerente e spericolata, che ha fatto della forma-cinema l‘unica vera questione di principio) la spinge a una performance fisica e emotiva estrema, ma costruendo un patto di fiducia quasi simbiotico. – la nostra recensione


Generazione romantica di Jia Zhangke
Forse un giorno lanceremo i film di Jia nello spazio, a beneficio di quella razza aliena che volesse conoscere cos'era, una volta, la civiltà umana. Il testamento nella capsula, una diapositiva in movimento, un viaggio nel viaggio di un paese: la storia d’amore tra Qiao Qiao (Zhao Tao, feticcio) e Guao Bin (Li Zhubin) lungo due decenni cinesi, ricostruiti con la memoria dei suoi stessi film, da Platform (2000) e Unknown Pleasures (2002), passando attraverso Still Life (2006). Un’opera mondo, originale, magnetica e liberatoria. – la nostra recensione


Caught by the Tides @X Strem Pictures
Giovani madri di Jean-Pierre e Luc Dardenne
Cinque ragazze, non ancora maggiorenni, vivono in una casa famiglia che è più argine che rifugio: sono lì per imparare a essere madri, ma prima ancora per imparare a essere figlie, corpi, voci, soglie. I fratelli ritrovano quella luce che in alcune recenti prove era rimasta soffocata: la macchina da presa non cerca più di dominare la realtà ma si mette umilmente al suo servizio, non si limita a rappresentare l’umano ma lo cerca, lo ascolta, lo accompagna. Una sonda intima, capace di percepire il respiro nascosto del mondo là dove il mondo smette di guardare. – la nostra recensione


Jeunes Mères dei fratelli Dardenne
A House of Dynamite di Kathryn Bigelow
Un missile non rivendicato viene lanciato contro gli Stati Uniti. Ha così inizio la corsa contro il tempo per scoprire chi sia il responsabile e capire come rispondere. Dalla situation room della Casa Bianca al Pentagono, dalle basi antimissilistiche a quelle nascoste nell’area indopacifica, Bigelow ci porta nel cuore delle sedi decisionali americane e costruisce un serratissimo thriller sui 19 minuti che separano il mondo dalla catastrofe nucleare. Un film che è letteralmente una bomba. – la nostra recensione


Pomeriggi di solitudine di Albert Serra
Il ritratto del torero Andrés Roca Rey (e dei sui giorni sempre uguali) è il trionfo estetico e politico di Serra, un maestro ossessionato nella ricerca della bellezza nell’orrore e avvinto dal rapporto distruttivo e seduttivo con il potere. Un documentario (ma è una definizione fuorviante) che testimonia la realtà per trasfigurarla, corteggia l’imprevisto per non contraffare l’autenticità, abbandona ogni filtro per plasmare una dimensione fantastica, mitica, impenetrabile come il volto sacrale di Roca Rey. – la nostra recensione


Tardes de soledad
Un semplice incidente di Jafar Panahi
È un uomo contro, Panahi, che non sa, non vuole esimersi dal filmare la realtà del suo paese, l’Iran, e gira senza autorizzazione un film importante, coraggioso fino alla temerarietà, potente nel suo essere frontale e dritto, che mette sotto processo il regime degli ayatollah. Tra il pamphlet politico, il dramma da minivan, l’allegoria sociologica, è lo showdown di un luogo, di un tempo e un’ideologia. Un autore che scolpisce la memoria collettiva trasformando ogni fotogramma in gesto politico e carne viva dell’immagine. – la nostra recensione


Un semplice incidente
(Les Films Pelleas)