La malinconia è un pomeriggio di solitudine, un uomo che sfida la natura, un toro immolato alla liturgia dello spettacolo. Albert Serra lo racconta magnificamente in Tardes de solaedad, già vincitore della Conca d’Oro al Festival San Sebastián e prossimamente nelle sale italiane con Movies Inspired (con il titolo, appunto, Pomeriggi di solitudine). Nel suo primo documentario in oltre un ventennio di carriera, lo spagnolo Serra filma la routine del peruviano Andrés Roca Rey, che a ventotto anni è tra i toreri più celebrati del mondo. Un ritratto spiazzante per riflettere sull’esperienza intima del matador, sul rapporto tra vita e morte, sulla ricerca della bellezza che conferma la grandezza del regista catalano, già autore di opere visionarie come Pacifiction e La mort de Louis XIV.

Il documentario sembra essere più che altro uno strumento.
Era l’unico che potevo usare, non ce n’era un altro all’altezza. Non puoi raccontare la storia di un torero nei giorni di maggiore pressione, i più importanti dell’anno, che si prepara ad agire in arene impegnative come quelle di Madrid, Siviglia, Bilbao. Non si può contraffare la realtà, né rappresentarla né imitarla. Però la si può interpretare.

Possiamo parlare di una trasfigurazione del reale?
Di per sé è uno spettacolo che ha qualcosa di impossibile. La violenza estrema che sconfina nella raffinatezza, la liturgia del rituale, la finezza degli abiti, una sorta di plasticità, una sensualità femminile che tiene dentro anche la brutalità. Se per trasfigurazione intendiamo questo emergere di imprevedibilità e orrore, allora sì.

Tre anni di lavoro, ore e ore di girato. Come si lavora su un materiale così sterminato?
Quando fai un documentario non puoi catturare tutto. Devi imparare a limitarti, a fare delle scelte. Non mi interessava capire se Andrés Roca Rey fosse un eroe, che lo fosse mentalmente o indossando il costume da torero. Volevo vederlo nel suo contesto.

Tardes de soledad
Tardes de soledad

Tardes de soledad

Come ci è riuscito?
Secondo me, ciò che conferisce qualità al film è l’assenza di filtro. Sia lui che i suoi collaboratori sono tutti così ossessionati e preoccupati. Intendiamoci, a livello umano è difficile. Ed è molto rischioso. Capita che il torero si svegli al mattino già di cattivo umore, molto teso, indisposto a fare battute. Ma questo perché accade? Perché ha paura e pensa che domani morirà. Come fai a non essere di cattivo umore con un pensiero del genere?

L’impressione è anche quella di una performance permanente: il matador con lo sguardo in camera per pochi secondi, la vestizione, i movimenti quasi di danza nell’arena.
Forse è una rappresentazione per la telecamera, ma lo fanno soprattutto per se stessi. Per esempio, il matador lo fa per i suoi assistenti, quasi assumendo un ruolo di leader o profeta: le circostanze sono così gravi, non credo gli importasse molto della telecamera. Sai, loro vivono in un mondo a parte, sono un po’ scollegati dalla realtà. Vivono in una bolla, non seguono la logica della realtà. C’è una sorta di indefinitezza, come in un mondo fantastico.

Di Andrés Roca Rey non sappiamo nulla. A parte ciò che vediamo nel film. Cosa l’ha affascinato?
Che è impenetrabile. Sono stato con lui per un anno e mezzo e non gli ho mai parlato. Lo seguivamo ovunque, eravamo sempre vicini. E adesso, della sua personalità e della sua psicologia, ne so esattamente quanto ne sapevo all’inizio: assolutamente niente. Delle due, l’una: o al suo interno non c’è niente; o è fatto di uno strato impossibile da penetrare.

E così giovane, ma agisce in un modo quasi ancestrale.
Beh, ha un’estetica quasi da rockstar ma appartiene a un’altra galassia. È una figura atavica, titanica, ma guarda la sua pagina Instagram, lui finge di essere qualcuno. L’ho scelto anche per questo, mi piaceva questo contrasto. Può rappresentare qualcosa di moderno, soprattutto per il suo volto, ma quel che fa è molto antico. Ed è misterioso: ho filmato un altro torero, aveva già la faccia da vecchio. Lui no.

Tardes de soledad
Tardes de soledad
Tardes de soledad, Afternoons Of Solitude, Albert Serra, Spanien/Frankreich/Portugal 2024, V'24 Features (Viennale)

Dal Casanova vampiresco di Història de la meva mort al Re Sole passando per il libertino duca di Walchen di Liberté e l’alto commissario di Pacifiction: i suoi protagonisti sembrano avere un rapporto distruttivo e seduttivo con il potere.
Il potere genera ingiustizia. Si vede in tutti i miei film, ma non l’ho mai detto meglio come qui. E c’è sempre questa ossessione di trovare la bellezza nell’orrore. È qualcosa di romantico, forse perché impossibile. Qui c’è la morte del toro, che ci angoscia ma ci affascina. C’è qualcosa di poetico e malinconico, non lo so, è qualcosa di strano.

E se il vero protagonista non fosse il torero ma la morte?
Ma la morte come inno alla vita, per come la vedo io. Tutti cercano di preservare la vita, no? Ma la conservazione in sé non serve a niente, la vita è uno strumento per fare qualcosa. Perfino per disprezzarla, buttarla via.

La morte del cigno nel finale è una celebrazione della vita?
Non era preventivata. La questione della musica è sempre imprevedibile, la scelgo sempre alla fine, in modo un po’ inaspettato. Dietro c’è un’idea più elaborata: si parte sempre dalle immagini, ci penso a lungo. Se pensi a un’immagine già con la musica, vuol dire che non la stai guardando davvero.

Che ne pensa della corrida?
Non mi piace anche se mi incuriosisce. Ma non è questo il punto. Per fare un documentario bisogna essere un po’ favorevoli rispetto a ciò che si racconta. Se fai un documentario per criticare qualcosa, stai già esponendo il tuo punto di vista. D’altra parte, se ciò di cui parli ti piace solo un po’, sei un po’ curioso di vedere cosa succede davvero, no? Se hai già un’opinione negativa, sembra che tu ti stia già imponendo sull’argomento. Se faccio film, se produco immagini, è perché sono affascinato da ciò che vedo, non per criticare qualcosa.

Tardes de soledad
Tardes de soledad

Tardes de soledad

Ha visto altri film sui toreri?
Sì ma non mi piacciono.

Per esempio: Il momento della verità di Francesco Rosi.
Anzitutto c’erano degli attori, quindi parliamo di finzione. Rosi era interessato a un discorso politico sullo sfruttamento della povera gente. Io, invece, volevo andare al cuore del rituale sacrificale. In cosa consiste, cosa c’è al centro.

L’ha capito?
No. Non capisco a cosa serva questa metafora. Forse ha a che fare con il carattere spagnolo, che ha una componente irrazionale molto importante. È una tradizione che non si regge su un’invocazione a Dio e, allo stesso tempo, non si tratta di una festa pagana. Non c’è nulla di festoso, anzi, la tauromachia è piuttosto macabra. Non sappiamo esattamente cosa sia, a quale parte della nostra civiltà si riferisca. Forse è proprio la grazia, il mistero che esiste quando non abbiamo coscienza di quel che facciamo. Eppure non so fino a che punto sia una metafora.

Cosa c’è dietro l’angolo?
Un film sulla Russia. Sull’eterno conflitto tra Russia e Stati Uniti. Le riprese inizieranno il 14 luglio. Non possiamo girare in Russia a causa delle sanzioni, ovviamente. È una nuova fantasia. Non come Pacifiction, spero in qualcosa di nuovo. Ma forse sì, perché c’è un aspetto politico. Ma non lo so. Vedremo: non ci resta che filmare. Non voglio avere idee preconcette, voglio essere libero durante le riprese.