Lo ha rifatto, un’altra volta. Una battaglia dopo l’altra non è solo la seconda rivisitazione cinematografica firmata da Paul Thomas Anderson a partire da un libro di Thomas Pynchon. È, soprattutto, la conferma definitiva di un’affinità profonda, strutturale, tra due tra le voci più dense e sfuggenti della cultura americana contemporanea.

Da una parte Pynchon, il recluso, l’inafferrabile, l’autore che ha trasformato la paranoia in un genere letterario. Dall’altra Anderson, l’artigiano visionario, il cineasta che sa costruire con la macchina da presa la stessa vertigine sistemica che Pynchon disegna con le sue frasi interminabili, i suoi elenchi, i suoi jingle fuori luogo.

I due non condividono solo un nome — Thomas — ma sembrano essere due facce di una stessa medaglia estetico-formale, sorprendentemente coerente, sorprendentemente univoca.

Un’estetica del sistema

C’è un punto in cui la forma diventa la chiave di tutto. Nei romanzi di Pynchon, come nei film di Anderson, la narrazione non si chiude mai: si apre costantemente. I fili si moltiplicano, le connessioni si disperdono, l’energia si consuma in mille rivoli. È l’entropia, certo, ma anche una precisa idea del mondo: la realtà non è data, va continuamente interpretata, decifrata, perseguita.

Nel cinema di Anderson questa struttura entropica si traduce in montaggi ellittici, scene-blocco che non si concatenano logicamente ma si richiamano emotivamente, dialoghi opachi che avanzano e al tempo stesso retrocedono. La trama, se c’è, è un vettore iniziale. Non una mappa, ma una corrente.

TEYANA TAYLOR as Perfidia in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures
TEYANA TAYLOR as Perfidia in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures

TEYANA TAYLOR as Perfidia in “One Battle After Another.”  A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures

In Una battaglia dopo l’altra tutto questo ritorna con potenza. Il film — “liberamente ispirato” a Vineland — non è un adattamento, ma un’assimilazione organica del metodo pynchoniano.

L’America della fine del Novecento, quella delle rivoluzioni mancate, delle figlie perdute, dei fantasmi televisivi e dei servizi segreti deviati, non viene raccontata: viene dissolta, assorbita, rilanciata in immagini “nuove” che sembrano già viste. Le rapine, le pistole puntate, gli inseguimenti in auto, le sorelle armate, persino i gas e i forni dei neonazi in giacca e cravatta. Come glitch di un immaginario testardo: l’eterno ritorno del cinematografico.

C’è sempre qualcosa che disorienta. I movimenti di macchina sembrano rincorrere qualcosa che si nasconde. E Jonny Greenwood, come sempre, orchestra la vertigine.

Paranoia e riconoscimento

Pynchon ha scritto che “se ti fanno porre le domande sbagliate, non devono preoccuparsi delle risposte”. È un assioma, ma anche una poetica.

La paranoia, da L’incanto del lotto 49 a Linea del sangue, è il filtro percettivo che disegna il mondo: ci sono troppe connessioni, o non ce n’è nessuna. I segnali si moltiplicano, le reti si allargano, ma il senso resta inafferrabile.

TEYANA TAYLOR as Perfidia and SEAN PENN as Col. Steven J. Lockjaw in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures
TEYANA TAYLOR as Perfidia and SEAN PENN as Col. Steven J. Lockjaw in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures

TEYANA TAYLOR as Perfidia and SEAN PENN as Col. Steven J. Lockjaw in “One Battle After Another.”  A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures
 

Anche Anderson lavora dentro questa zona. In Vizio di forma, primo contatto diretto col mondo pynchoniano, la paranoia era una nebbia dolciastra, un afrore post-hippie. In The Master era la dottrina, la riscrittura della realtà come gesto totalitario. In Una battaglia dopo l’altra è l’architettura stessa del film a essere un trip, il film di un paranoico: ogni scena suggerisce che il bandolo cela altre matasse, ogni personaggio è collegato a un altro, ogni immagine contiene un sottotesto che non arriva mai del tutto in superficie.

Ma il gesto paranoico non è solo una nevrosi: è un modo di sopravvivere all’indecifrabilità del presente. Il montaggio, allora, diventa una forma di riconoscimento: si cercano rime visive, echi sonori, ripetizioni minime. Ogni dettaglio può essere il centro del sistema. O nulla.

California dreaming

Non è un caso che entrambi — Pynchon e Anderson — abbiano eletto la California come teatro privilegiato. Non la California patinata, da cartolina, ma quella interstiziale: la San Fernando Valley dei centri commerciali, i sobborghi silenziosi, i set porno dismessi, i bunker televisivi.

In Pynchon, la West Coast è luogo di controculture, di scarti storici, di sogni collettivi che finiscono male: è la terra del Tristero, dei dropout, delle cellule radicali sopravvissute agli anni Sessanta. In Anderson, è palinsesto emotivo: ogni inquadratura della Valley racconta un passato impossibile da dimenticare e un presente in cui tutto è simulacro.

BENICIO DEL TORO as Sensei St. Carlos in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures
BENICIO DEL TORO as Sensei St. Carlos in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures

BENICIO DEL TORO as Sensei St. Carlos in “One Battle After Another.”  A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures
 

In Una battaglia dopo l’altra, questo spazio assume una nuova dimensione. Non è più solo memoria o trauma. È un sistema operativo visivo: la California è lo sfondo da cui riemergono le tensioni dell’oggi — sorveglianza, saturazione mediatica, trauma familiare — dentro una forma che è insieme ironica e elegiaca, comica e ferita.

Musica come struttura

Nessuno meglio di Jonny Greenwood ha saputo tradurre il principio entropico di Pynchon in linguaggio sonoro. Le sue partiture non commentano l’immagine: la strutturano, la pervadono, la inquietano.

In Il petroliere, gli archi descrivono la pressione del petrolio e del capitale. In The Master, i dissonanti moduli jazz compongono la scissione interiore. In Il filo nascosto, il pianoforte a tratti seduce, a tratti soffoca.

TEYANA TAYLOR as Perfidia and LEONARDO DI CAPRIO as Bob Ferguson in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures
TEYANA TAYLOR as Perfidia and LEONARDO DI CAPRIO as Bob Ferguson in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures

TEYANA TAYLOR as Perfidia and LEONARDO DI CAPRIO as Bob Ferguson in “One Battle After Another.”  A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures
 

In Una battaglia dopo l’altra, Greenwood lavora su ritmi continui, dilatazioni jazzistiche e tribali, paesaggi sonori stratificati, frequenze basse che avvolgono e minacciano. Non c’è una vera colonna sonora. C’è una presenza. Una voce musicale che, come quella di Pynchon nella scrittura, disturba l’equilibrio apparente e svela il rumore di fondo del mondo.

Due Thomas, un solo sguardo

Anderson e Pynchon si assomigliano non nei temi, ma nel modo in cui guardano. Entrambi diffidano delle certezze, ma non sono nichilisti. Entrambi raccontano un mondo devastato, ma senza perdere il senso dell’ironia. Entrambi inseguono il sacro, ma sanno che si nasconde dietro la spazzatura.

LEONARDO DI CAPRIO as Bob Ferguson in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures
LEONARDO DI CAPRIO as Bob Ferguson in “One Battle After Another.” A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures

LEONARDO DI CAPRIO as Bob Ferguson in “One Battle After Another.”  A Warner Bros. Pictures Release. Photo Courtesy Warner Bros. Pictures
 

Sono artisti dell’ambiguità strutturale, non della provocazione. La loro estetica è quella dell’accumulo, della ridondanza, della digressione. Non per vanità, ma per fedeltà alla complessità del reale.

Ecco perché Una battaglia dopo l’altra è molto più di un film "ispirato a Pynchon". È un gesto estetico che conferma — dopo Vizio di forma e The Master, dopo Boogie Nights e Licorice Pizza — la continuità sotterranea tra due grandi opere americane: quella letteraria di Pynchon e quella visiva di Anderson. Due opere che, pur usando mezzi diversi, tentano lo stesso impossibile compito: afferrare la forma del mondo, mentre si dissolve davanti ai nostri occhi.