PHOTO
Giovani madri @ Christine Plenus
“La maternità non è una questione biologica. È una questione tanto psicologica quanto culturale. Stiamo parlando delle ragazze in Europa oggi. E abbiamo notato, e questo è stato un po' una sorpresa per noi, quando siamo andati alla casa-famiglia diverse volte prima di girare il film che molte ragazze scelgono di diventare madri per l'immagine della maternità. Avere valore, essere notate, sfuggire a una famiglia violenta. Essere madre significa qualcosa di sociale, qualcosa di familiare”. Parola dei fratelli belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne che il 20 novembre portano in sala il loro nuovo film, Giovani madri, premiato per la sceneggiatura all’ultimo Festival di Cannes.
Sullo schermo, un tallonamento pudico ed empatico di cinque giovani madri, Jessica, Perla, Julie, Naïma e Ariane, tutte cresciute in circostanze difficili, che in una casa-famiglia lottano per ottenere una vita migliore per loro stesse e i loro figli.
Dicono i pluripremiati registi, “Perla vuole essere madre, vuole essere come sua sorella, è un modo per lei di esistere. Ed è vero che rispetto a una generazione di donne che ha detto no alla maternità, per non finire sottomesse, il problema non si presenta per queste giovani donne. È comunque legato alla classe sociale a cui appartengono queste giovani madri, perché tutte loro provengono da contesti poveri e violenti: vogliono assumere la figura materna per dare valore alla propria esistenza, per emanciparsi e per sfuggire a un contesto familiare spesso segnato dalla violenza”.
Venendo alle educatrici della casa famiglia, “il loro ruolo, quando tutto va bene, quando tutto procede liscio, è quello di aiutare queste giovani donne a diventare più indipendenti e responsabili di sé stesse e del bambino. Ma essere responsabili non significa necessariamente tenere il bambino. Può significare darlo in adozione, come ha fatto Ariane”.
Il fallimento è della partita, ma i Dardenne si sono dati un imperativo morale: “Abbiamo preso una decisione, se così si può dire, prima di scrivere i racconti: volevamo che ogni giovane madre vivesse un momento più luminoso alla fine di ogni storia, per liberarsi dalla ripetizione e dal destino”.
Detto che “il volto di un bambino è il futuro, un futuro aperto, ci sono così tante possibilità”, sotto il profilo stilistico “qui c'è un po' più di spazio attorno a ogni protagonista. Innanzitutto, c'è molto spesso il bambino, e raccontiamo ancora la storia di come vanno, o non vanno, le cose tra questa giovane madre e il suo bambino, e spesso c'è spazio per qualcun altro, come chi se ne prende cura. La macchina da presa è posizionata un po' più lontano, e mi sembra che i movimenti di macchina, la regia, siano più teneri rispetto ai film precedenti. Se posso dire tenerezza... dolcezza”.
Focus importante, da titolo, è su giovani e madri: “Quello che stiamo filmando, quello che ci interessa, sono cinque giovani donne che sono "giovani" e che sono madri. Sono madri, ma sono pur sempre bambine. E il fatto di avere un figlio e di non aver abortito, per molte ragioni, è difficile da spiegare. Si può intuire per ognuna di loro perché tengano questo bambino, ma ogni volta è legato alla loro storia, a quella della propria madre. Stiamo raccontando cinque storie che non pretendono di rappresentare un assoluto, ma stiamo anche dicendo che la maternità non è scontata”.
Infine, Jean-Pierre e Luc Dardenne guardano alle sale cinematografiche: “I governi europei devono garantire che si fornisca istruzione, che si portino i giovani, i bambini, al cinema - non davanti a un televisore o a uno schermo di computer - affinché possano provare questo grande piacere. E penso che possiamo farcela, anche se oggi è difficile con le piattaforme di streaming, con i videogiochi. I ministri, a volte, non amano nemmeno i film, non sanno nemmeno cosa siano; amano i videogiochi, gli piace ridere con quei giochi. Cosa ci puoi fare? A volte ho l'impressione che siamo guidati da persone che non leggono più, che non vanno al cinema, che non ascoltano musica, e be’, dobbiamo solo farci i conti”.
