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A House of Dynamite © 2025 Netflix, Inc.
19 minuti all'impatto.
Un missile non rivendicato viene lanciato contro gli Stati Uniti. Ha così inizio la corsa contro il tempo per scoprire chi sia il responsabile e capire come rispondere.
Diciamolo subito, il nuovo film di Kathryn Bigelow è letteralmente... una bomba. La regista americana torna dietro la macchina da presa otto anni dopo Detroit e torna a preoccuparsi di geopolitica a 13 anni di distanza da Zero Dark Thirty, ritrovando il concorso della Mostra di Venezia – sarà poi in alcuni cinema selezionati dall’8 ottobre e solo su Netflix dal 24 ottobre – dai tempi di The Hurt Locker (2008, poi premiato con 6 Oscar, tra cui miglior film e regia): lo fa con A House of Dynamite, titolo naturalmente programmatico, dove la casa in questione è il nostro pianeta. E la dinamite ne riveste le pareti.


Bastano pochissimi istanti, e circostanze appena accennate, per intuire il vissuto di alcuni personaggi chiamati poi ad affrontare una situazione al limite: dal piccolo dinosauro giocattolo che il figlioletto febbricitante affida a mamma Rebecca Ferguson (è il Comandante Olivia Walker), passando per la telefonata bruscamente interrotta che riceve Anthony Ramos (è il Maggiore Daniel Gonzalez), o l’arrivo trafelato di Moses Ingram (è Cathy Rogers) sul posto di lavoro, alla FEMA, l’Ente federale per la gestione delle emergenze.
Per ognuno di loro, e per molti altri, quella giornata appena iniziata sta per prendere una piega imprevista. E potenzialmente deflagrante.
Portandoci nel cuore delle varie sedi decisionali USA disseminate per il mondo (dalla situation room della Casa Bianca al Pentagono, dalle basi antimissilistiche a quelle nascoste nell’area indopacifica), Katrhyn Bigelow costruisce un serratissimo thriller sui 19 minuti che separano il mondo dalla catastrofe nucleare.


È un film che lascia senza fiato, A House of Dynamite, che parte da un cartello tanto ovvio quanto esplicativo ("Alla fine della Guerra Fredda le potenze mondiali concordarono sulla descalation nucleare. Oggi quell'era è terminata") per risvegliarci da un "torpore collettivo, una silenziosa normalizzazione dell'impensabile": i tentativi per neutralizzare quel missile senza nome falliscono, il countdown procede inesorabile, in prima battuta la vita di almeno 10 milioni di persone è a dir poco segnata.
Nella catena di comando l'ultima parola spetta al presidente degli Stati Uniti (Idris Elba), da una parte sollecitato (dal generale Brady di Tracy Letts) a rispondere con la stessa moneta (ma contro chi, di preciso? La Russia nega qualsiasi coinvolgimento, la Corea del Nord forse? Non è detto, ma non è neanche escluso come indica l'agente Ana Park interpretata da Greta Lee, raggiunta telefonicamente nel suo giorno di ferie mentre col figlio assiste alla 162esima ricostruzione storica della battaglia di Gettysburg, 50mila morti in 3 giorni...), dall'altra - per voce del Night Agent Gabriel Basso, qui viceconsigliere per la sicurezza nazionale Jake Bearington) - a riflettere ancora un istante, perché il campo delle possibilità si riduce solamente a due scenari, non rispondere (resa) o rispondere. E la seconda opzione equivale al suicidio.


È su questo crescente senso di impotenza, nel dover scegliere tra due possibilità che prevedono solamente morte o più morte, che Kathryn Bigelow ripone l'urgenza narrativa ed emotiva di un incredibile action movie senza azione, drammaticamente puntato - proprio come un missile spedito a tutta velocità - sull'immanenza di un'attualità che non può lasciare indifferenti.
"Come si può chiamare tutto questo difesa, quando il risultato inevitabile è la distruzione totale?”, si chiede la regista, che voleva appunto realizzare un film “che affrontasse questo paradosso, che esplorasse la follia di un mondo che vive sotto l'ombra costante dell'annientamento ma ne parla raramente”.
Lo script tripartito di Noah Oppenheim – la stessa situazione viene riproposta spostando di volta in volta il fuoco sul contesto vissuto dai vari protagonisti di quella call d’emergenza (con il terzo frammento incentrato su POTUS e il Segretario della difesa Reid Baker, interpretato da Jared Harris) – viene esaltato dall’ottimo montaggio di Kirk Baxter e dallo score incalzante di Volker Bertelmann, con la Bigelow che ritrova il sodale Barry Ackroyd come dop: a sorprendere è la capacità di mantenere sempre la tensione a livello altissimo, nonostante qualche intoppo retorico di troppo (la moglie del presidente nella Savana per salvare gli elefanti...), agendo sul doppio binario che definisce il confine tra il peso di un ruolo che tiene tra le mani le sorti del mondo (dove la salvezza è garantita, forse, solo a quei pochi fortunati presenti sulle liste per accedere ai bunker antiatomici nelle grotte del Raven Rock Mountain Complex in Pennsylvania) e l’angoscia dell’umano che conduce sempre, inesorabilmente, a quel fondale nero che appare, buio, agghiacciante, allo scadere del conto alla rovescia.