Che cos’è un pomeriggio di solitudine? È un sole che tramonta inondando l’arena, un uomo che entra in scena per sfidare la morte, un toro immolato alla liturgia dello spettacolo. Alla corrida, Hemingway dedicò un libro che è un saggio poetico, una guida turistica, un romanzo per immagini. Il titolo è significativo, Morte nel pomeriggio, e non è escluso sia una suggestione all’origine del film: “la corrida non è uno sport – scriveva l’expat – è piuttosto una tragedia; la morte del toro, che è recitata, più o meno bene, dal toro e dall’uomo insieme e in cui c'è pericolo per l'uomo ma morte sicura per l’animale”.

Ad Albert Serra non interessa spiegare la corrida, con il suo portato simbolo e le sue ingombranti contraddizioni: non c’è condanna, piuttosto una istintiva (indispensabile?) fascinazione nei confronti di un gesto respingente, una macchina teatrale che produce morte nell’atto stesso in cui si genera. E del protagonista assoluto di questo documentario, il peruviano Andrés Roca Rey, non sappiamo niente, se non che a meno di trent’anni è tra i più celebri toreri al mondo.

Tardes de soledad
Tardes de soledad
Tardes de soledad, Afternoons Of Solitude, Albert Serra, Spanien/Frankreich/Portugal 2024, V'24 Features (Viennale)

Il gesto politico nella pratica filmica di Serra è tutto delegato alle immagini. Perché quella del torero è una performance permanente, che sia la messinscena pubblica di una danza di sangue o i frammenti del quotidiano rubati dal privato. Non è un caso che, in uno dei tanti spostamenti sul pulmino rivolga lo sguardo in camera per pochi secondi: è una dimostrazione di coscienza performativa ma anche un naturale segno di sfida da parte di chi è abituato, anzi condannato, allo scontro, che sia con la bestia o con “l’occhio che uccide”. E non è un caso che si lasci riprendere nel rituale della vestizione, ripresa con una qualche distanza dentro la stanza d’albergo, quasi a dirci che non può che essere visto se non con il costume dell’icona, del profeta, del supereroe.

E così, un po’ alla volta, storditi e ipnotizzati dalla ciclica e metodica ripetitività delle sequenze, ci rendiamo conto di quanto Pomeriggi di solitudine non sia solo un documentario sul giovane torero e sui giorni sempre uguali anche nel suo perverso legame con la morte. Anzi: chiamarlo documentario è perfino fuorviante, perché a Serra non interessa la cronaca di una morte aspettata, il dato biografico, il contesto sociale.

Tardes de soledad
Tardes de soledad

Tardes de soledad

È un film che testimonia la realtà per trasfigurarla, corteggia l’imprevisto per non contraffare l’autenticità, abbandona ogni filtro per plasmare una dimensione fantastica (forse l’unica per interpretare questa apoteosi dell’irrazionale, una festa pagana fondata sull’invocazione di Dio), mitica, impenetrabile come il volto sacrale di Roca Rey.

Una figura inaccessibile, un titano dei contrasti: divino e sensuale, romantico e vampiresco, monumentale e social, atavico e contemporaneo, un fiammeggiante corpo celeste quasi privo di una profondità psicologica. E Serra, un maestro ossessionato nella ricerca della bellezza nell’orrore e avvinto dal rapporto distruttivo e seduttivo con il potere, lascia che in ogni azione del torero emerga la più tragica delle consapevolezze, la stessa espressa da Hemingway in Morte nel pomeriggio: “Non c’è rimedio a niente nella vita”.