Con Jeunes Mères, i fratelli Dardenne ritrovano quella luce che in alcune recenti prove (Young Ahmed, Tori et Lokita) era rimasta soffocata da allegorie pesanti o da una drammaturgia troppo scoperta. Qui, finalmente, la macchina da presa non cerca più di dominare la realtà, ma si mette umilmente al suo servizio con una chiaroveggenza etica rara: non si limita a rappresentare l'umano, ma lo cerca, lo ascolta, lo accompagna. È un film che pulsa, che pedina, che aderisce al tempo del reale come a un battito cardiaco, fragile e vitale insieme. È il cinema che abbiamo imparato ad amare: sonda intima, rabdomante capace di percepire il respiro nascosto del mondo là dove il mondo smette di guardare.

Jeunes Mères dei fratelli Dardenne
Jeunes Mères dei fratelli Dardenne

Jeunes Mères dei fratelli Dardenne

Cinque ragazze, non ancora maggiorenni, vivono in una casa famiglia che è più argine che rifugio. Jessica, Perla, Julie, Naïma, Ariane: nomi che evocano promesse ferite, destini precoci. Sono lì per imparare a essere madri, ma prima ancora per imparare a essere figlie, corpi, voci, soglie. Vite nate sul ciglio, incerte, mai davvero iniziate, eppure già chiamate a dare inizio ad altre vite. Il paradosso diventa possibilità: fiorire nel sacrificio, ritrovare se stesse mentre si prendono cura di qualcun altro. La scuola della responsabilità umana.

I Dardenne non raccontano, cercano. Non costruiscono, seguono. Non dirigono, accompagnano. Credono ancora nella flagranza dell’accadere, si fidano del gesto più che della parola, del volto più che del discorso. In un’epoca che ha dismesso la fiducia nella realtà e nella sua rappresentazione, questo pedinamento ostinato diventa atto di fede. Commovente, perché fuori tempo. Un cinema che non teme di restare indietro, se è lì che può ancora trovare l’umano. Che non cerca redenzione, ma soltanto uno sguardo giusto.

Jeunes Mères dei fratelli Dardenne
Jeunes Mères dei fratelli Dardenne

Jeunes Mères dei fratelli Dardenne

Gli spazi – strade battute avanti e indietro, stanze troppo strette, abitacoli in movimento – non sono sfondo ma linguaggio. Geografie interiori attraversate a fatica, mentre si spingono avanti passeggini carichi di angosce e orizzonti. È una mappa sentimentale quella tracciata dal film: i luoghi si definiscono dove si prende cura, dove l’altro è accolto, dove la relazione fonda l’identità. Famiglia, suggerisce il film, è dove sei riconosciuto.

Tutto si gioca lì, nel riconoscimento. Le ragazze protagoniste sono identità interrotte, amputate alla radice, cresciute senza amore o con un amore distorto. Il passato non consola, pesa: madri assenti, alcolizzate, adulti egoisti lasciano fardelli muti, ferite aperte. Ma il presente del film – un presente eterno, esposto, precario – apre uno spiraglio: quello di una seconda possibilità. Nel gesto più radicale e difficile: esserci per un altro. È qui che il film diventa dichiarazione politica e poetica insieme.

Jeunes Mères dei fratelli Dardenne
Jeunes Mères dei fratelli Dardenne

Jeunes Mères dei fratelli Dardenne

Quando poi arriva la musica – intradiegetica, rara – non è ornamento ma fenditura. Contrappunto di speranza. Prova che qualcosa può cambiare. Che dopo tanto dolore può insinuarsi ancora una nota diversa.

I Dardenne lavorano con attrici giovanissime, con neonati. Ogni gesto ha il peso nudo della verità. La frontalità è totale, ma mai invadente. Il rischio della retorica, della commozione facile è costante, ma viene disinnescato dall'accadere stesso della vita, dal suo disordine salvifico, dal suo farsi incessante e imprevedibile.

Apollinairiano per disperazione di realtà e fiducia di vita, Jeunes Mères scarta ogni consolazione per abbracciare un'idea più radicale: la possibilità di trasformare, di riscrivere, di interrompere una catena. Non salva nessuno, ma accoglie tutti. Non spiega, accompagna. E in questo gesto – tenero, laico, disarmato – i Dardenne ritrovano il senso più profondo del loro cinema. Perché guardare, semplicemente guardare, è già una forma di cura, forse l'ultima possibile.