Anni '80, nord della Francia: la studiosa Jackie (Mallory Wanecque e poi Adèle Exarchopoulos) e il bandito Clotaire (Malik Frikah, un Alain Delon in sedicesimi, e poi François Civil) sono cresciuti tra i banchi del liceo e le banchine del porto. Lei studia, lui no, e si innamorano. La vita criminale li separerà, ma il cuore li ritroverà.

Dopo Le Grand Bain (Fuori Concorso, 2018), Gilles Lellouche porta in competizione a Cannes L'Amour ouf, che miscela con intelligenza e resa plastica crime, musica(l) e romantic comedy adattando – sceneggiatura del regista con il sodale Ahmed Hamidi e Audrey Diwan – il romanzo omonimo di Neville Thompson.

Coreografie accattivanti de La Horde, volume a palla e sursum corda, Beating Hearts – titolo internazionale – aderisce al genere, anzi, i generi e guarda al grande pubblico: non è da Concorso, e perché non dovrebbe?

Gli attori – ripeto, di Frikah risentiremo parlare – sono uniformemente bravi, la storia non è inedita, ok, ma la si segue con manifesto piacere, e chi ha detto mai che una (nemmeno troppo) modesta visione e un sano divertimento – be’, quando la regia prova a osare e lavorare di cesello la bella inquadratura, il pindarico svolazzo, il dettaglio forbito lo abbracceresti il buon Gilles… - siano peregrini e non tollerati, se non benvenuti, sotto la Palma?

Nel cast Benoît Poelvoorde, tra alti e bassi (sonori), legge della strada e bivi esistenziali, amor fou e ei fu – ne muoiono parecchi, sì – il dramedy non lesina sull’azione e sulla (auto)ironia, sul plasma e sulle mazzate, facendo di Clotaire re di cuori e di spade e, perché no, Jackie regina di analoghi semi: le questi tre ore (due e 46’) non si fanno sentire, e il redivivo due cuori e una capanna s’investe di afflati ideologici, alla luce anti-capitalismo, commendevoli.

In Francia, ne siamo certi, incasserà parecchio, è un film (più che) medio e giammai mediocre, e poi Clotaire – meglio Frikah di Civil – innamora.

Venendo a noi, dovrebbero senz’altro vederlo - per presa sullo spettatore, sapienza drammaturgica, tenuta narrativa, capacità emotiva, incastro di generi – i connazionali registi, soprattutto quelli che con prodotti potenzialmente analoghi trovano anch’essi, ma a Venezia, spazio in Concorso.