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Jim Jarmusch
Lo scorso maggio il Festival di Cannes premiava con la Palma d’Oro Jafar Panahi, cineasta dissidente iraniano.
La giuria dell’82ma Mostra di Venezia, presieduta dal regista americano Alexander Payne, avrebbe potuto dare un segnale fortissimo, anteponendo l’urgenza, la necessità di un grido come quello portato al Lido da The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania, film che ha letteralmente sconvolto la Mostra, alle ragioni del (solo) merito artistico. E considerando che la stragrande maggioranza dei registi e attori premiati questa sera non ha dimenticato di ricordare la drammatica situazione che sta vivendo la Palestina, il mancato Leone d’Oro fa ancora più rumore.


The Voice of Hind Rajab
Era il film “più bello” del concorso, quello della regista tunisina? Sicuramente no. Ma sfidiamo chiunque, con tutto l’amore possibile che possiamo provare per Jim Jarmusch, a risponderci che lo fosse Father Mother Sister Brother, opera minore di un regista straordinario (sempre in gara a Cannes, per la prima volta a Venezia...) che, proprio come il Leone d’Oro della scorsa edizione, Pedro Almodóvar, attualmente il suo meglio ce l’ha alle spalle.
La stanza accanto, quantomeno, era un film incentrato su un argomento di forte attualità, molto spinoso, come quello dell’eutanasia. Questo di Jarmusch, commedia minimale tripartita e ambientata in tre realtà differenti (States, Irlanda, Francia), racconta a modo suo le difficoltà di dialogo all’interno di famiglie disfunzionali.
Un qualcosa, diciamo, che se fosse stato raccontato 20 anni fa, o dopodomani, sarebbe cambiato poco o nulla. Per non parlare del fatto che, proprio come lo scorso anno, il Leone d’Oro è andato ad un cineasta over 70, quasi che il Leone d’Oro diventasse una sorta di riconoscimento al complesso dell’opera, un Leone alla Carriera.


Tom Waits in Father Mother Sister Brother
(Frederick Elmes / Vague Notion)L’altra cosa incredibile, dopo giorni di polemiche, manifestazioni e via dicendo, è che a dispetto di qualsiasi previsione della vigilia, ovvero che il maggior riconoscimento della Mostra potesse andare ad un film – quello di ben Ania – capace di ricordare con forza la tragedia vissuta tuttora nella striscia di Gaza, è che lo stesso premio vada ad un film targato MUBI, casa di produzione e distribuzione finanziata dalla società Sequoia Capital, con sede nella Silicon Valley, che sostiene start-up israeliane del ramo dell'intelligence. Esponendo in questo modo l’incolpevole Jarmusch a inevitabili domande e ulteriori polemiche.
Si dirà che comunque The Voice of Hind Rajab ha vinto il Gran Premio della Giuria, secondo riconoscimento in ordine di importanza del palmares veneziano: vero, ma si capirà altrettanto facilmente quanto dal punto di vista mediatico e industriale possa cambiare in termini di attenzione e posizionamento.
Veniamo ora ad un’altra questione: nelle ultime 10 edizioni della Mostra, dal 2016 ad oggi, il Leone d’Oro è andato sei volte a film statunitensi (sì, anche il Povere creature! del greco Lanthimos). Per due anni di seguito il Leone d’Argento per la migliore regia è andato a due statunitensi (Brady Corbet nel 2024, Benny Safdie per The Smashing Machine oggi): vuoi vedere che senza questa Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica il cinema d’autore/pop americano avrebbe difficoltà ad imporsi altrimenti lungo il cammino per l’awards season? Senza contare, quest’anno, assenze a dir poco discutibili tra i premiati, come quella di A House of Dynamite di Kathryn Bigelow: c’entra per caso un ostracismo ideologico nei confronti di Netflix? Chissà…
Passiamo alle note più liete, che ci riguardano da vicino: la Coppa Volpi a Toni Servillo per La grazia di Paolo Sorrentino segna la prima affermazione a Venezia per l’attore partenopeo, il Premio Speciale della Giuria a Gianfranco Rosi per Sotto le nuvole segna il ritorno in palmares del documentarista dai tempi del Leone d’Oro vinto con Sacro GRA nel 2013, ultima vittoria italiana alla Mostra.
Infine, per gli amanti della numerologia, la Coppa Volpi femminile (meritata) a Xin Zhilei per The Sun Rises On Us All di Cai Shangjun segna la seconda volta per un’attrice cinese: la prima e ultima, finora, era stata Gong Li per La storia di Qiu Ju di Zhang Yimou, nel 1992.