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Fuocoammare
Il reale sembra non smettere mai di bussare alla porta del cinema italiano. Ritorna come un’eco del neorealismo, non della sua iconografia più ripetuta – biciclette, cortili, infanzie ferite – ma della sua lezione più profonda: che il cinema nasce dall’incontro con la vita, dal suo farsi esperienza e racconto.
Negli ultimi venticinque anni quest’eredità è tornata a fiorire in forme nuove, in una rivoluzione silenziosa che ha riportato il documentario al centro: sguardo e politica, testimonianza e visione poetica. La scintilla scocca in un Paese privo di commissioning editors, quelle figure che altrove danno forma televisiva al reale. Una mancanza che si trasforma in libertà: autori costretti a cercare altrove, a misurarsi con coproduzioni, con festival, con il cinema stesso.
Così il Torino Film Festival inaugura DOC 2000, sostenuto da Tele+, che per breve tempo funziona come un commissioning editor “all’italiana”. Lì appaiono film come Bike Baba di Daria Menozzi o Ce ne ricorderemo di questo pianeta di Salvo Cuccia: segni di una vitalità nuova, capaci di affidarsi a una televisione illuminata e a un festival pronto a farsi catalizzatore.
All’inizio di questo percorso, Gianfranco Pannone resta figura ponte: con Latina/Littoria scava nelle ferite della memoria, con Il sol dell’avvenire riapre i conti con la storia politica. È la testimonianza come atto di cittadinanza, cinema che registra e interroga. Ma è subito chiaro che la nuova generazione vuole spingersi oltre. Nasce un tessuto produttivo diverso.



