PHOTO
Mulholland Drive
25 anni, 24 fotogrammi al secondo. Come nasce la nostra classifica dei film del XXI secolo?
A un quarto di secolo dall’inizio del nuovo millennio, ci siamo posti una domanda solo in apparenza semplice: quali sono i film che hanno davvero contato? Quali opere hanno plasmato l’immaginario collettivo, ridefinito le forme del linguaggio cinematografico, raccontato con forza e lucidità i nodi critici del nostro tempo?
Per provare a rispondere, abbiamo deciso di costruire una classifica collettiva. Non un canone definitivo, ma un ritratto a più voci del cinema del XXI secolo. Abbiamo invitato critici cinematografici, giornalisti, direttori e programmatori dei principali festival italiani – oltre cinquanta interlocutori attenti e competenti, legati alla Rivista del Cinematografo e al mondo della curatela – chiedendo loro di selezionare, con libertà e rigore, fino a dieci film usciti tra il 2000 e il 2025.
I criteri che abbiamo proposto non erano vincolanti ma orientativi, e si muovevano lungo tre assi fondamentali:
- l’impatto sull’immaginario collettivo, ovvero la capacità del film di sedimentarsi nella cultura visiva, di entrare nel discorso pubblico, di influenzare generazioni e stili di vita;
- la forza estetica o linguistica, intesa come capacità di innovare lo sguardo, di reinventare il racconto, di incidere sul modo stesso in cui pensiamo e vediamo il cinema;
- la capacità di raccontare un momento storico decisivo, intercettando le fratture del tempo, i conflitti, le crisi e le trasformazioni del nostro presente.
Il risultato è un corpus ricchissimo, che raccoglie 236 film diversi, dai titoli più condivisi a quelli segnalati da un solo votante. Una classifica “verticale” ma anche “orizzontale”, che si presta non tanto a gerarchizzare quanto a mappare. Non c’è solo la lista dei più votati, ma anche – e forse soprattutto – un panorama critico dell’immaginario cinematografico degli ultimi venticinque anni.
Quello che segue è il primo atto di un progetto più ampio: La frattura e il riflesso – 25 anni, 24 fotogrammi al secondo. Un percorso in tre tappe – settembre, ottobre, novembre – che vedrà la luce sulle pagine della Rivista del Cinematografo e troverà il suo cuore pulsante in un format live alla Mostra del Cinema di Venezia. Perché è nei film, ancora e sempre, che il nostro tempo lascia le tracce più durature.
25. Se mi lasci ti cancello (Michel Gondry, 2005)
24. ROMA (Alfonso Cuarón, 2018)
23. Million Dollar Baby (Clint Eastwood, 2004)
22. Le vite degli altri (Florian Henckel von Donnersmarck, 2006)
21. INLAND EMPIRE (David Lynch, 2006)
20. Gomorra (Matteo Garrone, 2008)
19. Boyhood (Richard Linklater, 2014)
18. Avatar (James Cameron, 2009)
17. Una separazione (Asghar Farhadi, 2011)
16. Buongiorno, notte (Marco Bellocchio, 2003)
15. La vita di Adele (Abdellatif Kechiche, 2013)
14. Il Signore degli anelli (Peter Jackson, 2001-2003)
13. Oppenheimer (Christopher Nolan, 2023)
12. Kill Bill (Quentin Tarantino, 2003-2004)
11. Holy Motors (Léos Carax, 2012)


Una love parade, un rave-party popolato da barbari e war boys, percussionisti e chitarristi di fuoco abbarbicati su potentissimi monster trucks. Tutt’intorno è il deserto, sabbia e terra (acida) infinita che separa la Cittadella dai territori ostili e dal miraggio della Green Land. Una performance immersiva, un’incessante danza tribale, una bomba che sprigiona schegge impazzite, un’esplosione creativa che toglie il fiato e resta nella memoria. La nostra recensione di Mad Max: Fury Road


“È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile”. Il film italiano più rilevante del millennio (c’entra l’Oscar, sì, ma anche l’incidenza di Sorrentino nel nostro immaginario, si pensi solo alla fortuna del titolo stesso) è una complessa architettura sull’apparato umano, sull’inganno, sul senso della fine. La nostra recensione di La grande bellezza


Con una regia da manuale e l’esplosiva sceneggiatura di Aaron Sorkin, un epicentro del contemporaneo per come restituisce la costruzione della nuova classe dirigente nella società tecno-capitalista (col senno del poi, ci sono già le stimmate della parabola politica di Zuckerberg) e inquadra un nuovo, inquietante Quarto potere nell’epoca dei social. Ma anche – o soprattutto? – un romanzo pessimista sul tradimento e sull’amicizia. La nostra recensione di The Social Network


Fantasia al potere e dominio della poesia: l’essenza dell’universo del sensei. Un emozionante e complesso racconto di formazione nei termini di un impressionante tour de force visivo, tra il senso della meraviglia espresso dal magnifico caleidoscopio animato e la sommessa malinconia di una narrazione che interroga i desideri e le paure di ognuno di noi. E la dimostrazione di quanto Miyazaki abbia fiducia nella capacità mitopoietica del cinema. La nostra recensione di La città incantata


Poetico e sperimentale, mistico e realistico, epico e intimistico: il silenzio di Dio e l’indifferenza della natura, la tentazione del male e l’alternativa della grazia, l’amore totale e il senso di colpa. E il mistero della morte che può dare un un senso alla vita. Il trattato di Malick è una delle sfide più ambiziose e titaniche degli ultimi decenni: si spinge in territori inesplorati, osa l’assalto alle convenzioni narrativi, interroga le grandi questioni dell’umanità. La nostra recensione di The Tree of Life


Glazer parte da Martin Amis per confrontarsi con il tabù della Shoah. Se non la banalità, la familiarità del male e la sua rappresentabilità estetica e morale: quale immagine può dirla che sia contemporaneamente presente e assente, concreta e astratta? L’Olocausto è tra noi, né in campo né fuoricampo: un dramma al contempo straniato e ponderato, agghiacciante e serafico, una manutenzione dell’orrore che fa accapponare la pelle. La nostra recensione di La zona d’interesse


La chiave è nel titolo originale: “ci sarà sangue” è un monito, una profezia, una minaccia, il segno di un’imminente apocalisse. Che risuona oggi più che alla sua uscita. Il monumentale Daniel Day-Lewis tiranneggia in una spietata e crudele parabola sulla società capitalista (un romanzo americano in tutta la sua sinistra purezza), sulla dipendenza (quella per il petrolio), sul patriarcato e sui rapporti tossici (praticamente senza personaggi femminili). La nostra recensione di Il petroliere


Il coronamento della politica culturale transnazionale coreana – o, più semplicemente, della korean wave – nonché il primo film non in lingua inglese a vincere l’Oscar più importante e ad avere un vero impatto nel mondo: un racconto stratificato che passa dal realismo sociale alla satira grottesca, dal thriller ansiogeno alla suggestione distopica, un manifesto sulla lotta di classe che non può non riecheggiare nell’immaginario globale. La nostra recensione di Parasite


Desideri proibiti e occasioni mancate, il tempo che scorre implacabile e la nostalgia più lancinante, un trionfo sensoriale di sontuoso romanticismo in un film che crede nel potere evocativo delle immagini, delle canzoni, dei ricordi. L’anatomia di una storia d’amore in un classico moderno che cresce con gli anni. Wong Kar-wai sostiene che non si parla “di una relazione extraconiugale o di un matrimonio, bensì di segreti”. A noi non resta che l’incanto. La nostra recensione di In the Mood for Love


Un viaggio nell’incubo e una metafora della fabbrica di sogni, una sfida alla logica e un deragliamento onirico, un labirinto melodrammatico e un noir enigmatico. Nel progetto televisivo abortito, il capolavoro definitivo del nostro tempo sfuggente e indefinibile. Nessuno come David Lynch ci ha fatto amare un film. Nessuno come David Lynch ci ha fatto non capire un film. In queste divergenze confliggenti c’è la sua grandezza. La nostra recensione di Mulholland Drive