Una cosa è certa: una volta lasciata la sala sarà difficile dimenticare la colonna sonora di In the Mood for Love. Il contrasto tra la figura esile di Maggie Cheung stretta in abiti orientali e le note del tango argentino di Umebayashi Shigeru (Yumeji’s Theme). Qualcuno ha scritto che è il miglior film sul desiderio, forse è vero. Certo non nell’accezione comune del termine perché In the Mood for Love è tutto fuorché un film sui sensi o sulla passione. È invece un film sui sentimenti, sulla dignità, sulla rinuncia.

Wong Kar-wai, sette lungometraggi all’attivo, è stato definito il “Quentin Tarantino cinese”. E a vedere i suoi lavori precedenti (uno per tutti Angeli perduti) si capisce il perché. Curiosamente il parallelo non finisce qui. Come Tarantino con il suo Jackie Brown, ha dimostrato di poter cambiare registro e di sapere realizzare una storia completamente diversa dalle altre, usando la musica per caratterizzare i personaggi, il loro percorso emotivo; utilizzando ipotesi narrative diverse (alcune scene si ripetono più volte con differenti esiti) per evidenziarne i tumulti interiori. Poco importa che i due protagonisti si sfiorino soltanto, che il loro rapporto non sia “consumato” agli occhi dello spettatore (pare che Wong Kar-wai abbia girato e poi scartato delle scene più esplicite) ma soltanto immaginato.

Nulla in questo film è lasciato al caso. Ogni dettaglio (il fumo della sigaretta, il lembo rosso di una tenda) e ogni inquadratura (mani, piedi, occhi) sono indizi della trama. Di Su (Maggie Cheung) non si vedono che pochi centimetri di pelle nuda, quelli delle braccia. I due protagonisti si incontrano continuamente senza che nulla avvenga, solo la musica e gli sguardi caratterizzano il loro progressivo coinvolgimento sentimentale.

Siamo a Hong Jong negli anni Sessanta, ma potremmo essere in qualsiasi altra parte del mondo. La storia è quasi tutta girata in interni, più o meno vividi, più o meno sfocati, vissuti sull’onda del ricordo. “Fu un momento imbarazzante, lei se ne stava lì timida” leggiamo all’inizio. “Il passato è qualcosa che lui può vedere ma non toccare…” leggiamo alla fine. Arredi e ambienti rimangono gli stessi, cambiano i vestiti di Su.

Chow (Tony Leung) e Su si conoscono per caso: affittano due stanze in appartamenti contigui, entrambi sono sposati. Non vedremo mai i volti dei rispettivi moglie e marito. Li conosceremo attraverso il suono delle voci, li vedremo attraverso vetri appannati. Piccoli dettagli porteranno alla scoperta del tradimento: una borsa e una cravatta identica.

Come è cominciato, si chiederanno loro. E per capire si frequenteranno, mangeranno insieme, ripeteranno rituali, uniranno le rispettive solitudini. Ma no, diranno, non faremo lo stesso errore. “Non dobbiamo essere come loro” ripetono. Scopriranno di avere molto in comune. Scriveranno insieme un romanzo. Tenteranno di lasciarsi, ma sono mai stati insieme? Per essere diversi, migliori. Senza riuscirsi veramente. Attimi lunghi un’eternità cambieranno la loro vita. Si separeranno cercandosi ancora.

“In passato se una persona aveva un segreto andava in montagna, cercava un albero, scavava un buco nel tronco e vi bisbigliava il suo segreto così non lo scopriva più nessuno” dirà Tony al suo amico. Solo alla fine riuscirà a liberarsi del suo segreto, confesserà la sua pena, troverà la pace. E lei? Avrà un bambino, vivrà sola, tornerà nella sua vecchia stanza. Si sfioreranno senza incontrarsi per l’ultima volta mentre Nat King Cole canta le malinconiche Aquellos Ojos Verdes, Te quiero dijiste e infine Quizas, quizas, quizas.

Chissà, penseremo noi. Tony Leung ha vinto a Cannes il premio come miglior attore e a tratti ricorda il James Dean del Gigante. Ma che dire di Maggie Cheung? Aggraziata come una ballerina, bella come una bambola di porcellana. È stato il film più difficile della sua carriera, ha detto Wong Kar-wai. Ha impiegato quasi due anni per realizzarlo e quindici giorni prima del Festival di Cannes ha cambiato la fine. Il risultato finale è stato un capolavoro di eleganza e di armonia. I festival dovrebbero premiare opere struggenti e raffinate come questa.