Se sfiliamo, in velocità, come il cinema italiano del quarto di secolo “aumenta” le proporzioni narrative dal film alle serie (sala/media) in un doppio impiego produttivo/distributivo, e mentre nel movimento globale si precisa la rivoluzione dei nuovi spazi fisici e mediali fin qui a noi, c'è almeno un'evidenza sul piano delle forme culturali: un impegno sulla storia del Paese, vicina e lontana (traumi rimossi, mitologie, personalità emblematiche, modelli criminali in fatti di cronaca), certo con risultati di qualità discontinui e dosi discontinue di iniezioni fiction.

Questo impegno sfrutta le nuove condizioni per l'espansione delle narrazioni in virtù di un discorso sociale del cinema alla prova dei bisogni autori/pubblico, e del mercato ovviamente. Aree di consenso intorno a un tema, un film precedente, un libro di successo (da Gomorra – La serie, dal libro di Saviano e dopo il film di Garrone, a L'amica geniale da Ferrante, a Romanzo criminale – La serie, un altro libro e poi un film, a M, dai libri di Scurati) accendono un diverso “sistema” ideativo e cognitivo del cinema che, come in ogni altra parte del pianeta, nei formati e nelle rilocazioni, procede alla scoperta di se stesso.

Tra le maggioritarie operazioni di livellamento industriale mirate alla presunta pace consensuale col pubblico, qui da noi spicca la rilettura della nostra storia, questo già nei primi passi della mutazione ibridazione progressione, o come volete chiamarla, film/serie. C'era una volta...

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