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Buio e polvere. Rocce e petrolio. Scorrerà sangue, annuncia il titolo originale del film (There Will Be Blood) e la promessa è mantenuta: Daniel Plainview – un Daniel Day-Lewis monumentale (Golden Globe, nomination all’Oscar e ai Bafta) – cerca minerali pregiati e trova l’oro nero.
Nei primi del ‘900 mette su una società, insieme al figlio (suo?) di nemmeno dieci anni (l’esordiente Dillon Frasier), e quando un giovane sconosciuto, Paul Sunday (Paul Dano), gli rivela che a Little Boston, cittadina sperduta nell’arida California, dove il ragazzo vive insieme alla famiglia, c’è un oceano di petrolio che aspetta solamente di essere trivellato, l’uomo non esita a raggiungere il luogo indicato: acquista tutto (o quasi) il terreno circostante, promettendo prosperità istruzione e pane quotidiano alla piccola comunità, devota ai dogmi del giovane pastore Eli Sunday (ancora Paul Dano, qui alla sua prova più convincente) – almeno sulla carta fratello di Paul (che non comparirà mai più) – ma al tempo stesso solleticata all’idea di nuove, materiali prospettive.
Mese dopo mese, senza cedere alle lusinghe della Standard Oil, il petroliere costruisce il suo denso e viscoso impero: il figlio ci rimetterà l’udito, un presunto fratellastro (Kevin O’Connor) venuto da chissà dove la vita e il predicatore invasato – il cui tornaconto personale sarà molto più chiaro con gli anni a venire – la dignità della propria, declamata fede.
È nella gestione di un’epica, magniloquente e meschina vicenda individuale, nella capacità di contenere in quasi tre ore un racconto che poteva durarne nove e, soprattutto, nel labilissimo equilibrio in cui riesce a far muovere contemporaneamente corpi e spazi infiniti (molte scene girate a Marfa, stessa cittadina texana utilizzata dai Coen in Non è un paese per vecchi e, cinquantuno anni prima da George Stevens per Il gigante), resi immortali dalle luci di Robert Elswit (anche lui candidato all’Oscar) che Paul Thomas Anderson porta a compimento il suo vero, indiscusso capolavoro: ex enfant prodige (realizzò Boogie Nights a 27 anni, Magnolia a 29) già acclamato a livello internazionale, il regista californiano si ispira al romanzo di Upton Sinclair (Oil!, del 1927) e riesce laddove – nei film precedenti – intrecci, coralità, salti temporali e ritorni non erano arrivati.
Progressione lineare, scandita dallo scorrere degli anni (1898, 1902, 1910, 1927), centralità del personaggio – Daniel Plainview, uomo d’incredibile avidità e fermezza, capace di mettere il figlio su un treno perché la sordità intralcia la propria ascesa, ma anche di farsi “battezzare” nel “sangue dell’agnello” purificatore pur di ottenere il beneplacito per costruire un condotto in un’area che ancora non gli appartiene (sono gli anni che cambieranno per sempre gli Stati Uniti rurali nella società capitalista, e oligarchica, che conosciamo) – e il sibilo di una sirena in lontananza, acuto di una colonna sonora magmatica e miracolosa (firmata dal Jonny Greenwood chitarrista dei Radiohead), per introdurre e contrappuntare uno dei film più importanti degli ultimi tempi, sorretto da un Daniel Day-Lewis imprescindibile, probabilmente l’unico attore in grado di non rendere ridicola la scena madre (“Sono un falso profeta e Dio è solo una superstizione”, farà urlare al reverendo arrivista) che conclude, ovviamente nel sangue, la parabola della sua vicenda.
“Dedicato alla memoria di Robert Altman”. Candidato a 8 premi Oscar – tra cui miglior film e miglior regia – Orso d’argento a Paul Thomas Anderson e a Jonny Greenwood al recente Festival di Berlino.