L’82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia appena conclusa ci restituisce un’idea di cinema che è coscienza inquieta capace di raccontare la nostra epoca non attraverso facili consolazioni, ma esplorando ciò che si nasconde ai margini. Al Lido abbiamo apprezzato tante storie che si sono mosse tra luce e oscurità e spesso la realtà si è mostrata non nell’evidenza illuminata o nel mistero del buio, bensì nelle zone d’ombra.

Ricordava un grande direttore della fotografia, Vilmos Zsigmond, Oscar per Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg (1977) e candidato l’anno successivo per Il cacciatore di Michael Cimino (1978): “Illuminare significa prima di tutto togliere luce. Spesso è nelle ombre, più che nella luce, che il cinema racconta davvero”.

L’ombra che più ha scosso e commosso il Festival è stata quella di una “assenza presente”, la registrazione della voce di una bimba palestinese, vittima dell’ingiustizia bellica a Gaza: in La voce di Hind Rajab di Kaouther Ben Hania, l’ombra esile di una traccia audio recuperata in rete, inchioda lo spettatore alla domanda su quanto rimanga di umano e dell’umanità dentro questo conflitto. In A House of Dynamite di Kathryn Bigelow, l’angoscia atomica incombe come un velo opprimente sul futuro. Un’ombra scorgiamo nel cuore e nelle menti di coloro che sono chiamati a sventare questa minaccia: l’uomo ha ancora la possibilità di fermare i devastanti processi distruttivi che lui stesso ha messo in atto?

In Il mago del Cremlino di Olivier Assayas, il potere più grande si manifesta in coloro che sono capaci di agire ed influire nell’ombra, accanto ai potenti. E quando “il mago del Cremlino” deciderà di portare alla luce la sua storia e ciò di cui è stato capace, verrà eliminato.

In Árva di László Nemes il passato continua a determinare il presente: l’Olocausto e l’ombra che ha prodotto nelle coscienze delle generazioni successive, è ciò che anima spazi, gesti e silenzi dei protagonisti. 

Dentro le ombre della decadente vicenda umana e dell’articolata psicologia della Duse (Valeria Bruni Tedeschi diretta da Pietro Marcello), possiamo leggere i riflessi dei cambiamenti: d’epoca, di regime politico, delle forme artistiche, dei primi vagiti di un’Italia nuova. 

Nelle stupende immagini cinematografiche di Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi, sono proprio le ombre ad essere protagoniste del racconto, nel perfetto bianco e nero scelto dal regista per illustrare trama e ordito di una città che tutti narrano per la sua luce ma che custodisce altrove il suo segreto: nelle fosche grotte profanate dei tombaroli, nella stiva di una nave, nelle telefonate notturne di sconosciuti che danno voce alle solitudini, tra le statue illuminate da flebili torce nei sotterranei di un museo. Le ombre sono potenti tracce di una presenza che domanda di essere incontrata e conosciuta.

L’ombra della colpa anima il necessario tormento redentivo di Elisa di Leonardo Di Costanzo (Barbara Ronchi, straordinaria protagonista), mentre in No Other Choice di Park Chan-wook, la pressione sociale crea spazi morali ambigui e poco chiari, in cui la libertà appare un miraggio. Nel film vincitore del Leone d’oro, Father Mother Sister Brother di Jim Jarmusch, i protagonisti cercano di scaricare sull’altro, nelle relazioni familiari, le proprie ombre di irresolutezza per allontanare da se responsabilità e fallimenti.

Bugonia di Yorgos Lanthimos, ci interroga a proposito di due grandi coni d’ombra della società contemporanea: il grande potere delle multinazionali e le loro manipolazioni sul creato e sulle persone, e l’incidenza delle fake news e dell’inquinamento informativo sulle menti dei singoli.

In À pied d’œuvre di Valérie Donzelli, la precarietà e l’insicurezza del lavoro consumano lentamente le persone, lasciando segni profondi nell’anima e nei gesti quotidiani.

Per Paolo Sorrentino con il suo La Grazia, l’ombra che avvolge i personaggi è quella dell’anima chiamata a prendere decisioni. Vivere secondo le aspettative altrui o cercare la verità? Dove si trova? Nell’evidenza dei codici e delle leggi? No, nell’ombra del dubbio, spazio di riflessione che guidano il protagonista (Tony Servillo, in gran forma e premiato) e lo spettatore verso la luce della consapevolezza e della scelta responsabile.

In Frankenstein di Guillermo del Toro, l’ombra più inquietante non avvolge la mostruosa creatura tratta dal regno delle ombre, ma la società che lo circonda, caratterizzata da rifiuto, paura e crudeltà. Gli umani sono i veri mostri, mentre la “creatura” che dall’alto riceve la luce esce dal regno delle ombre cercando senso e compagnia per la propria immortalità.

Venezia 2025 ci ha mostrato opere che non rifuggono le zone oscure ma che le affrontano con coraggio. Film che chiedono allo spettatore di sostare nell’ombra, di lasciarsi ferire e di affrontare la fatica dello sguardo. Solo così la luce del cinema diventa significativa: quando illumina ciò che era nascosto.

Adesso buio in sala: è tempo di lasciarci rapire dalle ombre proiettate sullo schermo.