Oltre a essere un oggetto facilmente classificabile come film-concerto, Francesco De Gregori. Nevergreen (presentato Fuori Concorso a Venezia 82) è anche – o soprattutto – l’istantanea del grande cantautore ormai settantaquattrenne. “Fate quello che volete col cellulare, sentitevi liberi, tanto ci sono abituato”, dice in apertura, un po’ per smentire la nomea di burbero e algido artista abituato a eseguire le proprie canzoni senza tener conto del desiderio di karaoke del pubblico e un po’ per stipulare una sorta di accordo con il pubblico.

Che, in questo caso, è selezionato, non tanto per questioni elitarie ma perché il film di Stefano Pistolini testimonia il mese di concerti che De Gregori ha tenuto in un piccolo teatro di Milano, l’Out Off, dalla capienza di circa duecento posti. Accettare le riprese con i cellulari – anzi: invitarne tacitamente l’utilizzo – è qualcosa di inaudito, considerando l’immagine schiva se non scontrosa che il Principe si è costruito negli anni.

E qualcosa che, in fondo, suscita anche una sorta di tenerezza, non fosse altro perché la temporanea “residenza milanese” consiste nell’esplorazione del vasto repertorio, con la riproposta di quelle canzoni che non sono diventate “evergreen” (da cui la n iniziale per definire, ironicamente, il senso del progetto), spesso dimenticate nelle scalette dei concerti e forse pure dalla memoria dei cultori.

Francesco De Gregori. Nevergreen
Francesco De Gregori. Nevergreen

Francesco De Gregori. Nevergreen

Attraverso questa ragionata e appassionata operazione di recupero, magari perfino un’ipotesi di auto-archeologia, Nevergreen restituisce il ritratto di un uomo che si consegna al pubblico guardandosi indietro senza monumentalizzarsi. E interroga le perverse consuetudini di un’industria performativa che condanna all’inedito periodico da dare in pasto a un mercato saturo. De Gregori, infatti, non pubblica un album di inediti da più di dieci anni, eppure è difficile considerarlo in pensione o decaduto: come tutti i grandi artisti non può che rivedere se stesso, rilanciare occasioni mancate, ritrovare i domani passati.

Pistolini si concentra molto sulle esibizioni e lascia qualche finestra per il dietro le quinte con gli ospiti (e se De Gregori chiude gentilmente la porta del camerino, si resta fuori in attesa del live): il registro è informale e intimo, i rapporti con gli altri artisti trasudano stima e affetto senza troppe moine, la retorica viene lasciata alle autocelebrazioni altrui.

Certo, i momenti con gli ospiti non riguardano esattamente “nevergreen” (Pezzi di vetro eseguita dalla sola Malika Ayane, Diamante e la cover Everybody’s Talkin’ con Zucchero, Alice con Ligabue, le rivisitazioni di Stelutis alpinis e Can’t Help Falling in Love con Elisa, Una città per cantare con Jovanotti), ma il catalogo passa da semiclassici (San Lorenzo, Quattro cani, Sento il fischio del vapore, Atlantide, Buffalo Bill) a chicche (Il vestito del violinista, la recente Quelli che restano in duetto con Elisa, Compagni di viaggio, Deriva, Il cuoco di Salò, Giusto o sbagliato), fino al gran finale con il pubblico invitato a danzare sul valzer di Buonanotte fiorellino.