Il cinema è una giungla d’asfalto. Lo sosteneva già John Huston, con il suo omonimo film, nel 1950. In quel caso lo sguardo era al noir, ma la macchina da presa non è mai sazia di fughe, inseguimenti e motori rombanti. Non si parla solo di crimine, ma anche di corse a tutta velocità. Legali e illegali. Lo insegna il franchise di Fast & Furious, che unisce la rapina al distintivo.

Però il fascino del pilota di professione non svanisce. Non a caso Jean-Louis Trintignant in Un uomo, una donna era il mago di ogni circuito. Oggi alchimia che vince non si cambia: una star, quattro ruote motrici, una monoposto da urlo e il desiderio di arrivare primo.

In F1 – Il film Brad Pitt interpreta una stella del passato. Mescola genio e sregolatezza, ormai è in declino. Ma gli viene offerta un’ultima possibilità: affiancare una giovane promessa e tornare insieme sul gradino più alto del podio. Missione impossibile? Non per il regista Joseph Kosinski, sodale collaboratore di Tom Cruise. Aveva diretto Top Gun: Maverick, che è un film complementare a F1. Entrambi raccontano di “vecchie” glorie alla riscossa, entrambi puntano sulla velocità (l’uno in aria, l’altro su pista), entrambi hanno una vena malinconica, che riflette sullo scorrere del tempo.

È proprio questa la forza di Kosinski: saper mescolare epoche diverse, portare gli stilemi del passato in un’industria che, per sopravvivere, deve aggrapparsi al mito, ai divi che non conoscono età. Tom Cruise in Top Gun: Maverick e Brad Pitt in F1 sono quindi in realtà lo stesso personaggio. E sottolineano come, soprattutto in questi tempi difficili, abbiamo bisogno di eroi umani, un po’ dannati, che sbagliano per poi redimersi.

Kosinski realizza un western a tutta velocità. Con il cambio al posto della pistola e il cowboy che non smette di cavalcare da solo verso l’orizzonte. Il regista sembra ispirarsi anche a Driven di Renny Harlin, con Sylvester Stallone (i due avevano ideato il fenomeno Cliffangher – L’ultima sfida). La vicenda era la stessa: Stallone doveva affiancare un ruspante talento, in quel caso nel mondo delle Champ Car americane.

Qui invece, come dice il titolo, siamo nella Formula 1. Kosinski omaggia sé stesso, ma dimostra di avere una sua cifra, che si rivela trascinante. Il film è adrenalinico, fluviale (2 ore e mezza). Fa alzare la temperatura, gioca col brivido, con la colpa e la redenzione. E brilla quando bisogna cambiare marcia, per proiettarsi verso gli ultimi giri trattenendo il respiro.