Lo spirito, la voce di Franco Maresco fluttuano tra le nuvole, in volo verso chissà dove con l'afasico Bernardo Greco, “attore” chiamato a interpretare San Giuseppe da Copertino (il Santo Volante, non a caso...) nel film che il regista palermitano avrebbe dovuto realizzare su Carmelo Bene. 

È forse l’unica uscita di scena possibile per l’uomo/artista che ha fatto perdere le sue tracce nel momento in cui il produttore del film, Andrea Occhipinti di Lucky Red, esasperato da ciak infiniti e dai ripetuti ritardi, e dopo l’ennesimo incidente sul set, ha deciso di staccare la spina alla lavorazione del film. 

Dopo il Premio Speciale della Giuria vinto nel 2019 con La mafia non è più quella di una volta, Franco Maresco (che dedica il film a Goffredo Fofi, come Pietro Marcello con il suo Duse) torna in gara alla Mostra di Venezia (si fa per dire, dato che come di consueto non mette piede al Lido) e lo fa con un’opera che, più delle altre volte, è geniale sin dal titolo: Un film fatto per Bene – da oggi, 5 settembre, nelle sale con Lucky Red – contiene già in potenza quel senso ambivalente che accompagna la nuova fatica del più grande regista-dissidente del cinema italiano. 

Un film fatto per Bene
Un film fatto per Bene

Un film fatto per Bene

Per ricucire quello strappo insanabile tra produzione e cineasta (che prima di sparire ha accusato i primi di “filmicidio”) si mette in moto Umberto Cantone, amico storico di Maresco e cosceneggiatore di quello che sarebbe dovuto essere il film su Bene, deciso a stanare il regista.

Ha così inizio un viaggio (che parte dall’Hotel Europa, dove il nostro ogni 6-7 mesi prenotava la solita stanza per tagliare i capelli...) nei territori (con il Monte Pellegrino sullo sfondo) e tra i testimoni che hanno partecipato all’impresa (mancata) per tentare di capire sia dove possa essere finito il regista, sia il perché di questo naufragio produttivo.

Dal tassista tuttofare Francesco Conticelli (ogni due parole una preghiera, figura mitologica) al produttore Marco Alessi, in questa “nuova” versione di film su un non-film ci ritroviamo nel consueto Maresco Universe e l’indagine di Cantone, sempre sospesa sul crinale della comicità dell’assurdo e della malinconia più feroce, diventa una sorta di (auto)analisi – in fondo, immaginiamo, c’è sempre Maresco anche dietro tutto questo – atta a ripercorrere la personalità e le idee dell’autore più corrosivo e apocalittico del nostro cinema, in sintesi il “Carmelo Bene dei nostri tempi”. 

Ne viene fuori un (auto)ritratto ovviamente tutt’altro che agiografico, libero e dissacrante, su un uomo affetto da ossessioni, nevrosi (i numeri sulle pareti...) e paranoie (lo spauracchio di un’invasione degli ultracorpi...).

E si ritorna così ai frammenti dell’impareggiabile Cinico Tv, alle interazioni memorabili con personaggi indimenticabili come Pietro Giordano & Co., si ricorda il fortunato sodalizio con Daniele Ciprì, iniziatosi ad incrinare dopo il disastro di Totò che visse due volte (visione dissacrante del Vangelo che costò al film la censura e un processo per vilipendio, tra l’altro film che segnò anche l’inizio della collaborazione con Occhipinti...): in questo percorso a ritroso troviamo però anche il presente, ovvero le scene e il backstage di questo fantomatico film su Bene, con il bianco e nero rigorosamente in pellicola (e ribattere il ciak una trentina di volte non è proprio una passeggiata di salute per chi è deputato a far rispettare costi e tempi di produzione) e momenti altissimi quali l’incontro tra San Giuseppe da Copertino e la Morte incarnata da Antonio Rezza, con tanto di favolosa citazione del Settimo sigillo: “Ma ce sai giocà a scacchi te?” – “No”. 

Antonio Rezza e Bernardo Greco in Un film fatto per Bene
Antonio Rezza e Bernardo Greco in Un film fatto per Bene

Antonio Rezza e Bernardo Greco in Un film fatto per Bene

Le chiacchiere stanno a zero, l’estasi Maresco la raggiunge lasciando andare personaggi come Bernardo, inquadrandoli per ore mentre a modo loro interpretano uno spartito senza rispettarne codici e imposizioni. Perché un film “si sa quando si inizia ma non si deve sapere quando finisce”. 

Per questo, forse, lontano da tutto e tutti, il regista siciliano tenta il colpo di coda ritrovando l’intimità di un piccolo studio dove poter richiamare a sé vecchie conoscenze (come Ciccio Mira), incarnanti quel de-pensiero che, come detto, il nostro ama catturare e stabilire con esso un continuo dialogo, portandolo al parossismo. Oltre a fastidiosi onnipresenti, come Francesco Puma (“la persona più cretina che ho mai conosciuto”), critico cinematografico che ha trovato anche la ribalta della tv nazionale (occhio all’inserto su Marzullo, “uno che dovrebbe vendere pop-corn e Coca-Cola”...) con velleità d’attore, che a quel punto Maresco finge di coinvolgere con il solo scopo di “torturare”.

Un film fatto per Bene
Un film fatto per Bene

Un film fatto per Bene

Ma anche questo disperato tentativo di “dare forma alla rabbia e all’orrore che provo per questo mondo di merda” sembra fallire.

E allora non resta che affidarsi dapprima ad una missiva all’amico Cantone (il momento più alto dell’intero film, con la voice over di Maresco e la carrellata infinita sui fornetti di un camposanto, con il de profundis sull’industria cinematografica dei nostri tempi), farsi rintracciare grazie alla soffiata del tassista e infine sparire, nuovamente, tra le nuvole, insieme al Santo Volante. Chissà se da lassù il mondo potrà sembrare un po’ meno di merda.