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Elisa @01Distribution
Bombardato dal dinamismo imperante, lo spettatore potrebbe perdere sé stesso. Ma ci sono registi come Leonardo Di Costanzo (in concorso a Venezia con Elisa) che ricordano di non fermarsi alla semplificazione spettacolare. Di Costanzo è un cineasta che ama scavare nell’intimità dei suoi protagonisti. Li rinchiude in spazi circoscritti per analizzare il loro lato più fragile, per immergersi nella loro debolezza e riscattarla.
Elisa è il controcanto di Ariaferma. Siamo anche questa volta in un carcere. Ma si è abbandonata la forma ottocentesca vicina alla dismissione del 2021, qui siamo in una prigione all’avanguardia. La differenza non è però nella struttura, ma nella relazione con la pena. In Ariaferma le colpe dei condannati quasi non interessavano, in Elisa è il crimine a essere messo al centro. C’è un gioco di interni ed esterni, in cui sono i “regolari” che vengono da fuori a essere il cardine della storia.
L’ispirazione è il libro Io volevo ucciderla dei criminologi Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali. Lo scritto è un flusso di coscienza, il racconto di una donna che spiega il suo crimine efferato. A un certo punto si legge: “la violenza vive di una doppia vita, quella rilevata nell’obiettività dei tassi di omicidio e quella che scorre nell’esperienza individuale di rei e vittime”. È proprio questo che interessa Di Costanzo: l’esperienza individuale.
Nel film il criminologo è solo uno, con il volto di un intenso Roschdy Zem. Davanti a lui c’è Elisa, un’ottima Barbara Ronchi (che ormai potrebbe uscire dal carcere…). Sono passati dieci anni da quando ha ucciso la sorella, ma lei dice di non ricordarsi nulla. È questo il preambolo di una lunga indagine all’interno dell’essere umano.
Come nasce la banalità del male? Dove si annida la brutalità? Sono domande complesse, che danno vita a una riflessione su chi e che cosa può essere considerato un mostro in questi tempi bui. Di Costanzo non ne fa un discorso teorico. Lo declina nella quotidianità, nella concretezza di ogni gesto. Ed è qui che il cinema si discosta dall’essere solo rappresentazione, ma diventa essenza del vissuto.
C’è un grande umanesimo in Elisa. La parola scritta si fa dialogo aperto, il vero dilemma è anche il perdono. Quando si guarda negli occhi il male, e se ne capisce l’origine, si può poi assolvere? La risposta è personale, in un film che affronta il trascendente e invita a non fermarsi alle apparenze.