Con la Palma d’Oro a Cannes per It Was Just an Accident, Jafar Panahi ha realizzato il “grande slam” dei festival europei (rubiamo la definizione a Gabriele Niola). Panahi, infatti, ha già vinto il Pardo d’Oro a Locarno (Lo specchio, 1997), il Leone d’Oro a Venezia (Il cerchio, 2000), l’Orso d’Oro a Berlino (Taxi Teheran, 2015). Un’impresa eccezionale ma non unica: prima di lui, solo Michelangelo Antonioni ha conquistato i massimi riconoscimenti dei quattro principali festival europei: Il grido (Pardo, 1957), La notte (Orso, 1961), Deserto rosso (Leone, 1964) e Blow-Up (Palma, 1967).

A differenza di Antonioni, che ha completato la collezione nell’arco di un decennio e in un’epoca geograficamente meno articolata di quella contemporanea, Panahi ci è riuscito in quasi trent’anni, attraversando correnti culturali, mode passeggere, tendenze politiche. Ma, scorrendo gli albi d’oro di questi gloriosi premi, scopriamo che ci sono anche altri registi che si sono avvicinati al poker.

Michelangelo Antonioni sul set di Blow Up
Michelangelo Antonioni sul set di Blow Up
MA88.tif (Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, Archivio Michelangelo Antonioni)

I quattro (+1) del Triplete

Pioniere in tutto, Roberto Rossellini ha vinto la prima edizione di Cannes con Roma città aperta. In realtà, in quel 1946, furono in undici a ricevere il Grand Prix: la Palma sarebbe nata solo nel 1955, ma tra il 1964 e il 1974 si tornò al Grand Prix du Festival per problemi di copyright. Nel 1948 è arrivato il Gran Premio di Locarno (il Pardo si assegna dal 1968) per Germania anno zero, nel 1959 il Leone per Il generale della Rovere (ex aequo con La grande guerra). Henri-Georges Clouzot, che ha raccontato la violenza del mondo con lucido disincanto e lo schema del noir, ha vinto il Leone per Manon (1949) e – caso curioso ma, come vedremo, non unico – sia l’Orso che la Palma per Vite vendute (1953).

Nella bacheca del glorioso Robert Altman c’erano il Grand Prix per M*A*S*H (1970), l’Orso per Buffalo Bill e gli indiani (1976) e il Leone per America oggi (1993). Il britannico Mike Leigh, maestro del realismo umanista, ha vinto il Pardo per Bleak Moments (1972), la Palma per Segreti e bugie (1997) e il Leone per Il segreto di Vera Drake (2004): essendo ancora in attività, può puntare a entrare nell’esclusivo club dei quattro (gli manca un Orso). Un caso a parte è quello di Jean-Luc Godard: Orso per Agente Lemmy Caution: missione Alphaville (1965) e Leone per Prénom Carmen (1983), è stato onorato con una Palma d’Oro speciale per Le livre d’image (2018), che non è ufficialmente il primo premio.

PETERLOO featuring Director Mike Leigh behind the scenes courtesy of Amazon Studios.
PETERLOO featuring Director Mike Leigh behind the scenes courtesy of Amazon Studios.
PETERLOO featuring Director Mike Leigh behind the scenes courtesy of Amazon Studios. (Simon Mein)

Doppiette e dintorni

Anche André Cayatte ha ottenuto due allori per lo stesso film: Giustizia è fatta, Leone (1950) e Orso (1951), e nel curriculum c’è anche un altro Leone nel 1960 per Il passaggio del Reno (vittoria accolta tra i fischi: era l’edizione di Rocco e i suoi fratelli e L’appartamento). Ang Lee è l’unico ad aver vinto due Orsi (Il banchetto di nozze nel 1993 e Ragione e sentimento nel 1996) e due Leoni (I segreti di Brokeback Mountain nel 2005 e Lussuria – Seduzione e tradimento nel 2007). Nel palmarès di Louis Malle, una vittoria a Cannes per Il mondo del silenzio (1956) e ben due a Venezia per Atlantic City (1980) e Arrivederci ragazzi (1987).

Ad aver vinto due premi su quattro sono tanti: Luis Buñuel (Grand Prix per Viridiana, 1961; Leone per Bella di giorno, 1967), John Cassavetes (Leone per Gloria – Una notte d’estate, 1980; Orso per Love streams – Scia d’amore, 1984), René Clément (Grand Prix per I maledetti, 1947; Leone per Giochi proibiti, 1953), Yilmaz Güney (Pardo per Il gregge, 1979; Palma per Yol, 1982), Akira Kurosawa (Leone per Rashomon, 1951; Palma per Kagemusha – L’ombra del guerriero, 1980), Miloš Forman (Pardo per L’asso di picche, 1964; Orso per Larry Flint – Oltre lo scandalo, 1997), David Lean (Grand Prix per Breve incontro, 1946; Orso per Hobson il tiranno, 1954), Satyajit Ray (Leone per Aparajito, 1957; Orso per Tuoni lontani, 1973).

Nutrito il gruppo degli italiani, nell’epoca in cui il nostro cinema trionfava agevolmente nei grandi festival: Renato Castellani (Palma per Due soldi di speranza, 1952; Leone per Giulietta e Romeo, 1954), Vittorio De Sica (Grand Prix per Miracolo a Milano, 1951; Orso per Il giardino dei Finzi Contini, 1971), Ermanno Olmi (Palma per L’albero degli zoccoli, 1978; Leone per La leggenda del santo bevitore, 1988), Francesco Rosi (Leone per Le mani sulla città, 1963; Grand Prix per Il caso Mattei, 1972), Paolo e Vittorio Taviani (Palma per Padre padrone, 1977; Orso per Cesare deve morire, 2012), Luchino Visconti (Palma per Il Gattopardo, 1963; Leone per Vaghe stelle dell’Orsa, 1965).

Gianfranco Rosi - Foto Karen Di Paola
Gianfranco Rosi - Foto Karen Di Paola
Gianfranco Rosi - Foto Karen Di Paola

Ancora in corsa

Essendo tuttora in attività, ci sono registi con due vittorie su quattro che possono ridurre le distanze e completare lo slam. Sono Costa-Gavras (Palma per Missing – Scomparso, 1982; Orso per Music Box – Prova d’accusa, 1990), Lav Diaz (Pardo per From What Is Before, 2014; Leone per The Woman Who Left – La donna che se ne è andata, 2016), Emir Kusturica (Leone per Papà è in viaggio d’affari, 1981; Palma per Underground, 1995), Terrence Malick (Orso per La sottile linea rossa, 1999; Palma per The Tree of Life, 2011), Roman Polański (Orso per Cul-de-sac, 1966; Palma per Il pianista, 2002), Gianfranco Rosi (Leone per Sacro Gra, 2013; Orso per Fuocammare, 2016), Zhang Yimou (Orso per Sorgo rosso, 1988; due Leoni per La storia di Qiu Ju, 1992, e Non uno di meno, 1999), Wim Wenders (Leone per Lo stato delle cose, 1982; Palma per Paris, Texas, 1984), Krzysztof Zanussi (Pardo per Illuminazione, 1973; Leone per L’anno del sole quieto, 1984).