La nuova versione del dottor Frankenstein di Guillermo del Toro ricorda lo stile di alcuni adattamenti contemporanei che scuotono i loggioni della lirica e del teatro confondendo il tormento innovatore della spinta poetica con la stranezza di letture eclettiche random infarcite di un certo gusto artificioso da illustrazione fantasy. Il racconto a tratti risulta estraneo, forzato da necessità di cassetta che mirano allo stupore immediato e superficiale che caratterizza ogni novità fine a se stessa. Non giovano le motivazioni autobiografiche, come il rapimento che ha visto il padre del regista sequestrato in Messico qualche decennio fa da una delle tante gang criminali della zona. Non di rado sono chiamate a soccorso di costruzioni estetiche insufficienti.

L’invenzione letteraria di Frankenstein è talmente geniale, densa di dilemmi irrisolvibili e per questo eternamente nuovi, che ogni deviazione-decorazione narrativa rischia di distorcerla, irreparabilmente, risucchiata nel gorgo infinito delle produzioni gothic fantasy ricche di effetti e insignificanza. Ciò premesso la reinterpretazione del capolavoro di Mary Shelley in uno stile che il binge watching delle piattaforme streaming ha promosso alla categoria accettabile e popolare dei Mercoledì Addams, offre uno spiraglio di riflessione interessante da cui si può intravedere con chiarezza la crepa profonda che mina da dentro il monolite dell’insopportabile moralismo pedagogico para-religioso con cui si stigmatizza il racconto di Frankenstein come la metafora di un peccato originale indicibile. L'uomo che tenta la divinità per appropriarsi dei segreti inaccessibili del mistero, frutto proibito responsabile di perdizioni apocalittiche.

FRANKENSTEIN. (L to R) Jacob Elordi as The Creature and Mia Goth as Elizabeth in Frankenstein. Cr. Courtesy of Netflix © 2025.
FRANKENSTEIN. (L to R) Jacob Elordi as The Creature and Mia Goth as Elizabeth in Frankenstein. Cr. Courtesy of Netflix © 2025.
FRANKENSTEIN. (L to R) Jacob Elordi as The Creature and Mia Goth as Elizabeth in Frankenstein. Cr. Courtesy of Netflix © 2025.

Nell’opera di del Toro si dà una qualche rilevanza al rapporto della creatura figlio, tenendosi accuratamente distanti da forzature freudiane, con la morte. L’assemblaggio ingegnoso di resezioni cadaveriche che prende vita grazie ad un fulmine opportunamente intercettato, può sperimentarla solo in terza persona, attraverso gli altri e non direttamente, vulnus che ne fa un paria ante litteram nel mondo dei mortali. Una impossibilità di morire che sconfina nella idea di eternità ammalata dalla quasi assenza del cammino consapevole, sopraffatto dall’istinto meccanicamente determinato dell’essere una ricombinazione di parti morte.

L’eziologia del mostro affonda le sue radici nel divino e trova un controaltare-genesi nella ambizione alla conoscenza assoluta che ossessiona e muove di amore puro il dottor Frankenstein, padre solo in apparenza, parte integrante e senziente della sua stessa opera. Una osmosi infetta, intrisa della pulsione irrefrenabile che per paradosso porta in sé il principio primo della dignità dell’uomo. Se l'uomo è uomo e non il frutto modesto di un destino deciso da altri cui adattarsi con l’opportunismo oculato e miope che caratterizza l’osservante pedante, pavido e facilmente manipolabile, non può non essere attraversato dalla aspirazione a essere dio. O un suo surrogato, per chi non crede.

© 2025 Netflix, Inc.
© 2025 Netflix, Inc.
FRANKENSTEIN. (L to R) Mia Goth as Elizabeth and Oscar Isaac as Victor Frankenstein in Frankenstein. Cr. Ken Woroner/Netflix © 2025. (Ken Woroner/Netflix)

Tensione mistica che appena tocca terra si sporca, conservando comunque tutta la meraviglia di Prometeo e Icaro, irresponsabili genuinamente umani capaci di spingersi più in là, dove il gregge degli ignavi sazi di bocca buona non azzarderebbe mai, timorosi del rischio, avari di compromissione autentica e fondamentalmente morti dentro, in perenne attesa di distruggere il mostro e sancire la catarsi di una nullità scambiata per redenzione. Desiderare di essere Dio è un passo fondamentale per liberare tutta la generosità gioiosa che qualcuno o qualcosa ci ha instillato perché fiorisca e sperimenti la inevitabile sconfitta, il dramma, il lutto, la frustrazione, il rifiuto che l'essenza del mondo, qualunque essa sia, oppone a chi osa.

Il dottor Frankenstein è scosso dalla follia vitale e pericolosa di chi non rinuncia a vivere, conscio del dono che tenta di replicare per donarlo a se stesso agli altri. Sente di averne tutto il diritto, vive, ama e odia profondamente. Il golem che ne risulta è l’embrione del fallimento fertilizzato dalla morte del progetto che ci chiede di assumere il rischio senza garanzie di una materia inerte che accede al respiro, attraverso la chirurgia laboriosa, dolorosa e preziosa che tenta l’eternità, in ciò che non era e ora, in qualche modo, è. Vivo, speranza dissennata di una scienza sconosciuta e irrinunciabile.