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La Grazia - Toni Servillo e Paolo Sorrentino - foto © Andrea Pirrello.jpg
“L’esercizio del dubbio è una delle qualità ormai poco frequentate che dovrebbe avere un politico. Nella prima Repubblica si chiamava immobilismo, ma l’esercizio del dubbio penso sia la conditio sine qua non per prendere decisioni su cose molte delicate come la legge sull’eutanasia o le richieste di grazia. Oggi le certezze ci sembrano strampalate perché poi vengono contraddette il giorno dopo”.
Paolo Sorrentino torna in concorso a Venezia dopo il Gran Premio della Giuria vinto nel 2021 con È stata la mano di Dio. Lo fa con La Grazia, film d’apertura di questa 82ma edizione della Mostra, realizzato un anno dopo Parthenope, ospitato in gara a Cannes.
Avvolto fino ad oggi dal mistero, La Grazia è incentrato sulla figura di Mariano De Santis (Toni Servillo), giurista e Presidente della Repubblica prossimo alla scadenza del mandato. Vedovo, cattolico, ha una figlia, Dorotea (Anna Ferzetti), giurista come lui. In questo fatidico semestre bianco, periodo durante il quale il Presidente non può sciogliere le Camere, De Santis è chiamato a prendere posizione su tre delicate questioni: firmare o meno un disegno di legge sull’eutanasia, concedere o meno la grazia a due persone, un uomo e una donna, entrambi in carcere per avere ucciso i relativi compagni.
Veri e propri dilemmi morali. Che si intersecano, in maniera apparentemente inestricabile, con la sua vita privata, puntellata dal ricordo dell’amata moglie, Aurora, e da un antico tradimento subito che l’uomo ancora non riesce a superare.


La Grazia - Toni Servillo 3 - foto © Andrea Pirrello.jpg
“La grazia è un atteggiamento nei confronti della vita premuroso, affettuoso, una specie di tocco. Certo, è un film d’amore questo, ma non solo in relazione all’amore più immediato che riguarda la storia di quest’uomo con la moglie che non c’è più, penso anche all’amore per la figlia, per il diritto, per un modo di fare politica, legato al dubbio e al senso di responsabilità, valori che oggi come oggi mi sembra che la politica non incarna più”, dice ancora Sorrentino, che dirige per la settima volta (su undici film) il suo attore feticcio, Toni Servillo, 24 anni dopo la prima volta, L’uomo in più, film d’esordio del regista partenopeo ospitato alla Mostra di Venezia.
“Il mio amore per Toni è incondizionato, non ha mai conosciuto crisi, non siamo neanche arrivati all’idea di litigare. Ci troviamo a meraviglia, ci vogliamo bene, sappiamo distribuire meticolosità e ironia sul lavoro. E ogni volta siamo felici di tornare a lavorare insieme”, spiega ancora il regista, che non risponde a chi gli chiede se si sia ispirato a qualche Presidente della Repubblica italiana, ma che la fonte d’ispirazione (per il film) è stato un fatto di cronaca (la concessione della grazia da parte di Sergio Mattarella ad un uomo che aveva ucciso la moglie malata di Alzheimer) e dal Decalogo di Krzysztof Kieślowski.


Paolo Sorrentino, Anna Ferzetti e Toni Servillo a Venezia 82 - Foto KAREN DI PAOLA
“A ben vedere ci sono stati molti presidenti della Repubblica giuristi, democristiani, diversi vedovi, molti con una figlia, e soprattutto molti napoletani”, ricorda Toni Servillo, che ripensando all’Andreotti del Divo osserva: “Sono due personaggi nella loro diversità non facili da interpretare, anche se non credo esistano personaggi facili da incarnare. In questo caso la difficoltà più grande è stata forse quella di dover dare vita ad un uomo che vorrebbe smentire costantemente il soprannome che negli anni gli è stato affibbiato dagli altri, quello di ‘cemento armato’. Ecco, questa è stata la cosa più difficile da restituire credo”, spiega l’attore, che sul sodalizio con Sorrentino aggiunge: “La vita ha deciso che ci facessimo del bene reciproco. Non è facile spiegare le ragioni di un’alchimia, spiegarle a parole. Non mi aspettavo al settimo film di rilanciare così tanto con un personaggio di questa complessità, con questa moltitudine di sensazioni che spero possano arrivare al pubblico. Abbiamo fatto personaggi belli in passato e crearne un altro di questo livello al settimo film non era così scontato”.
Anna Ferzetti viene diretta invece per la prima volta dal regista de La grande bellezza: “Per me è stato un bellissimo viaggio, ho avuto la possibilità di interpretare un personaggio ricco, pieno di cose, compresso e complesso, e per un’attrice è una cosa che non spesso accade. È stato come entrare in un’alchimia, questa tra Paolo e Toni, e l’ho fatto in punta di piedi. Con il personaggio di Dorotea mi accomuna il profondo rapporto che ho avuto con mio padre, la scelta di seguire la strada dello stesso mestiere”.


La Grazia - Anna Ferzetti - foto © Andrea Pirrello.jpg
Non manca come di consueto nel cinema di Sorrentino il simbolismo e la smaccata ironia, incarnata soprattutto dal personaggio di Coco Valori (Milvia Marigliano), critica d’arte e storica amica di De Santis, donna di enorme sarcasmo, dalle battute taglienti (vedi quel “Non è una cena, ma un’ipotesi” di fronte ad un misero piattino gourmet): “Questi sono personaggi facili da scrivere per me perché vorrei essere anche io così, vitale e malinconico”, dice il regista, che ricorda: “L’ironia nei miei film c’è sempre, anche memore della grande tradizione della commedia all’italiana, a maggior ragione in un film come questo perlopiù ambientato in un unico luogo. Sono alleggerimenti necessari, che comunque fanno parte della vita. Nessuno di noi è mai solamente drammatico, o ironico”.
Mentre sull’astrazione meno ricercata rispetto al film precedente, Sorrentino spiega: “Qui c’è un ribaltamento perché questo film nasce da una trama e poi approda ai personaggi, la messa in scena solitamente è anche il frutto di un’idea istintiva che abbiamo con Daria (D’Antonio, la direttrice della fotografia, ndr), non è che esiste uno stile fisso che uno adegua ad ogni film”.
Sulla questione eutanasia, invece, Sorrentino spiega che era un “gancio narrativo molto forte per ragionare sul dilemma morale, l’eutanasia e le richieste della grazia acuiscono questo dilemma. La scelta sull’eutanasia non è qualcosa che in maniera netta ci porta a scegliere tra bene o male, piuttosto ragionare sulla possibilità o meno di un male minore. Io un parere sulla legge ce l’ho, certo, ma come alla domanda così semplice che la figlia rivolge al padre (“Di chi sono i nostri giorni?”, ndr) arriverà una risposta così scontata, anche in questo caso si frappone poi il muro della vita. E da spettatore io detesto quei film che definiscono con certezza quale sia il bene e quale il male”.


La Grazia - foto © Andrea Pirrello.jpg
La Grazia – dedicato alla memoria di Claudio Vecchio, produttore scomparso una ventina di giorni fa – è un film Fremantle prodotto da The Apartment, società del gruppo Fremantle, in associazione con Numero 10 e PiperFilm, prodotto da Annamaria Morelli e Paolo Sorrentino. E da Andrea Scrosati per Fremantle, Massimiliano Orfei, Luisa Borella e Davide Novelli per PiperFilm. È distribuito in Italia da PiperFilm. MUBI detiene i diritti mondiali del film, esclusa l'Italia. The Match Factory gestisce le vendite internazionali.
Sarà nelle sale italiane dal 15 gennaio 2026, scelta che al momento sembrerebbe precludere la possibilità del film di concorrere agli Oscar nella categoria del miglior film internazionale: “Meglio porsi un problema alla volta, non ci siamo posti il problema sugli Oscar, intanto vediamo se stasera dopo la proiezione non ci buttano in Laguna”, dice scherzando Sorrentino, che conclude: “L’uscita a gennaio è stata presa perché notoriamente quando fa freddo va più gente al cinema. Se il film dovesse vincere il Leone d’Oro cambierebbe la logica distributiva? Questo non lo so, ma spesso sono scelte produttive e distributive che non dipendono solamente dai desiderata di un regista”.