Chi si è stupito dell’enorme successo ottenuto al botteghino dall’ultimo gioiello di Hayao Miyazaki (Il ragazzo e l’airone, etichettato come “troppo difficile per i bambini”) è ancora vincolato al concetto (molto occidentale) che reputa l’animazione un mezzo espressivo collegato esclusivamente all’infanzia. Per contro, a generare la grande onda che ha trasformato la concezione mondiale del disegno animato (da svago per ragazzi ad arte a tutto tondo per ogni tipo di età) è stato il Giappone, il paese che più di ogni altro ha innestato la propria cultura su questo tipo di linguaggio. Insieme ai compianti Satoshi Kon e Isao Takahata, Miyazaki ha incarnato e continua a incarnare la grande alternativa alla formula Disney, che (dopo i flop di Strange World, 2023, e Wish, 2024) sta vivendo forse il suo peggior momento di crisi e ha annunciato di voler dedicare i prossimi anni alla sola realizzazione di sequel e live action di classici passati.

chi ci sarà dopo il sensei

Tuttavia, considerando l’età non più verde del sensei, è lecito anche avanzare ipotesi su chi sia il suo possibile successore (un tema che, senza fare spoiler, è cruciale anche ne Il ragazzo e l’airone). Sul fronte della continuità stilistica e tematica, il favorito è senza dubbio Hiromasa “Maro” Yonebayashi, pupillo dello Studio Ghibli, dove ha lavorato in qualità di animatore per circa vent’anni e dove, come regista, ha firmato Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento (2010) e Quando c’era Marnie (2014). Nel 2015, ha lasciato la sua “casa madre” per fondare (insieme al produttore Yoshiaki Nishimura) lo Studio Ponoc, con cui ha realizzato Mary e il fiore della strega (2017) e l’episodio Kanini & Kanino, incluso nel lungometraggio collettivo Eroi modesti – Ponoc Short Films Theatre (2018). Yonebayashi è rimasto però devoto a Miyazaki ed è tornato a lavorare come suo animatore in occasione de Il ragazzo e l’airone.

Il ragazzo e l'airone © LUCKY RED
Il ragazzo e l'airone © LUCKY RED

Il ragazzo e l'airone © LUCKY RED

Dalla parte opposta della barricata si colloca Mamoru Hosoda, che, dopo essere stato cacciato dallo Studio Ghibli (inizialmente avrebbe dovuto dirigere lui Il castello errante di Howl), ha trovato la sua strada, firmando una serie di lungometraggi che lo hanno fatto conoscere alla critica e al pubblico di tutto il mondo: La ragazza che saltava nel tempo (2006), Summer Wars (2009), Wolf Children (2012), The Boy and the Beast (2015), Mirai (2018, unico titolo giapponese a ricevere una candidatura all’Oscar come miglior film d’animazione, senza appartenere allo Studio Ghibli) e Belle (2021).

Nel mezzo, troviamo Makoto Shinkai, il quale, oltre ad avere dalla propria parte gli ottimi riscontri commerciali di Your Name (2016), Weathering with You (2019) e Suzume (2022), ha ribadito sin dai primi lavori (Oltre le nuvole, il luogo promessoci, 2004, 5 cm al secondo, 2007, Viaggio verso Agartha, 2011, Il giardino delle parole, 2013) che Miyazaki è uno dei due poli della sua formazione artistica (l’altro è lo scrittore Haruki Murakami). Tuttavia, sarebbe profondamente ingiusto lasciare fuori dai giochi autori di culto come Mamoru Oshii (Ghost in the Shell, 1995, Ghost in the Shell 2 – Innocence, 2004, The Sky Crawlers – I cavalieri del cielo, 2008), Katsuhiro Ōtomo (Akira, 1988, Metropolis, 2001, Steamboy, 2004) e Hideaki Anno (il creatore della serie Neon Genesis Evangelion), scoperto e ingaggiato da Miyazaki stesso come animatore per Nausicaä della Valle del vento (1984).

e in occidente?

Per rendersi conto di quanto le cose stiano cambiando e diversificandosi, basta vedere la cinquina dei candidati all’Oscar 2024. Oltre a Miyazaki, difatti, troviamo l’unico franchise supereroistico ancora in salita (Spider-Man: Across the Spider-Verse di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson, secondo capitolo della fortunata trilogia iniziata da Sony con Spider-Man – Un nuovo universo, 2018), il tipico film Pixar per famiglie (Elemental di Peter Sohn), la trasposizione di un webcomic fantasy LGBTQ+ (Nimona di Nick Bruno e Troy Quane) e una produzione indipendente franco-spagnola (Il mio amico robot di Pablo Berger).

Se quest’ultima permette di guardare con un certo ottimismo al futuro del panorama europeo, dove si muovono autori come Michaël Dudok de Wit (La tartaruga rossa, 2016), Alain Ughetto (Jasmine, 2013, Manodopera, 2022), Alessandro Rak (L’arte della felicità, 2013, Gatta Cenerentola, 2017, Yaya e Lennie, 2021) e Sébastien Laudenbach (La fanciulla senza mani, 2016 e Linda e il pollo, 2023, co-diretto con Chiara Malta), sul fronte angloamericano la questione è più complessa.

Manodopera
Manodopera

Manodopera

Da un lato, troviamo cineasti non legati all’animazione, ma che, sulla scia di Tim Burton, hanno voluto rendere omaggio, sperimentandone una delle tecniche più laboriose (la stop-motion), come Charlie Kaufman (Anomalisa, 2015) o Wes Anderson (Fantastic Mr. Fox, 2009, L’isola dei cani, 2018). Dall’altro ci sono le case specializzate (Pixar, Dreamworks e persino Aardman), che, al pari di Disney, preferiscono scommettere sui sequel, con l’eccezione di Universal (Il Robot Selvaggio di Chris Sanders) e Laika (Wildwood, il nuovo lavoro di Travis Knight dopo Kubo e la spada magica, 2016). Resiste però comunque Henry Selick (il regista di Nightmare Before Christmas, 1993, e Coraline e la porta magica, 2009), che rimane fedele al suo spirito gotico e che ha scritto Wendell & Wild (2022) insieme a Jordan Peele.

Ma forse, in tempi tanto bui, l’autore di cui si sente davvero il bisogno è qualcuno che possa prendere il testimone etico e civile di Ari Folman, creando un nuovo Valzer con Bashir (2008).