Spettrale e al tempo stesso luminoso questo Rossellini – Più di una vita, documentario interamente composto da materiali d’archivio, diretto da Ilaria de Laurentiis, Raffaele Brunetti e Andrea Paolo Massara. Ennesima positiva sorpresa del concorso della Festa di Roma (Progressive Cinema). Spettrale perché ogni immagine sembra restituire la presenza di un uomo che ha attraversato il cinema rivelandosi e scomparendo più volte. Luminoso perché in questo archivio di voci e volti si intravede la rinascita di un artista, il suo tentativo di reinventarsi dopo il trauma del fallimento.

Il film sceglie un punto di svolta cruciale: il 1956, anno in cui Roberto Rossellini - cinquantenne, divorato da debiti, incomprensioni e una crisi personale profonda - accetta l’invito del primo ministro indiano Jawaharlal Nehru a girare un documentario sull’India moderna. È un momento di frattura e fuga, ma anche l’inizio di una seconda vita. Dopo la stagione neorealista e il sodalizio tormentato con Ingrid Bergman, Rossellini si trova davanti a un bivio: ripetere sé stesso o ripartire da zero. Il viaggio in India diventa allora un’esperienza di rigenerazione, di scoperta spirituale e culturale, una risalita dalle rovine dell’Occidente.

Rossellini – Più di una vita
Rossellini – Più di una vita

Rossellini – Più di una vita

Realizzato esclusivamente con materiali d’archivio - cinegiornali, interviste, fotografie, frammenti televisivi - costruisce un discorso doppio: pubblico e privato, storico e intimo. A guidarlo non è una voce narrante esterna, ma un coro di voci incarnate: Sergio Castellitto presta corpo e tono a Rossellini, Kasia Smutniak a Bergman, Isabella Rossellini, Tinto Brass, Silvia D’Amico e Vinicio Marchioni rianimano la memoria dei testimoni. Il risultato è una struttura polifonica e riflessiva, in cui il montaggio (firmato da de Laurentiis) non si limita a illustrare, ma diventa atto critico e interpretativo, capace di creare un ritmo autonomo, quasi musicale, in bilico tra documento e visione.

È qui che il film trova la sua forza più autentica: nel modo in cui riordina i frammenti, senza cedere alla tentazione della mitologia. Gli autori dichiarano un intento “classico”, ma dentro la classicità si avverte la tensione del dubbio, il desiderio di fare del repertorio non un museo ma una forma viva, un corpo in movimento.

Rossellini – Più di una vita
Rossellini – Più di una vita

Rossellini – Più di una vita

Il tono del film è, sì, apologetico – Rossellini come genio incompreso, profeta della modernità televisiva, padre ispiratore della Nouvelle Vague – ma non per questo rinuncia del tutto alla complessità. Se nella prima metà (l’episodio indiano) prevale l’elemento biografico e sentimentale - la relazione con Sonali Dasgupta, lo scandalo, l’esilio - nella seconda parte la materia si fa più interessante, quando il racconto si sposta sull’Europa e sulla conversione alla televisione come mezzo educativo e democratico. Qui Più di una vita raggiunge una vibrazione diversa: Rossellini non è più l’uomo ferito, ma il pensatore inquieto che intuisce, prima di molti, che il cinema è superabile e che la conoscenza può passare da nuove forme di visione.

Il film abbraccia così la stagione televisiva di Rossellini - Blaise Pascal, Socrate, Agostino d’Ippona, fino a Il Messia - come esito naturale di quella ricerca iniziata a Roma con Paisà e rinata in India. L’idea di un cinema “per capire” più che “per emozionare” ritorna come ossessione e vocazione. In questo senso, Più di una vita diventa anche un autoritratto dell’artista come pedagogo, un uomo che rifiuta l’autorialità romantica per farsi strumento di conoscenza, in bilico tra arte e scienza, spiritualità e tecnologia. Il Rossellini che emerge è un mistico del reale, un inventore di forme, più che un narratore.

Rossellini – Più di una vita
Rossellini – Più di una vita

Rossellini – Più di una vita

Ciò che manca, forse, è un passo in più nell’analisi del linguaggio rosselliniano. L’India del film è più scenario di una crisi che laboratorio di una poetica. La parte più “gossipara” - il triangolo sentimentale, il sequestro del girato, la fuga con Sonali - rischia di spostare l’asse dalla ricerca filmica alla biografia romanzata. Ma quando la narrazione rientra in Italia, e il racconto si confronta con la stagione dei film televisivi, la densità cresce e il film trova la propria voce. Lì il documentario non solo celebra Rossellini, ma lo riattualizza: come se attraverso la sua figura si interrogasse anche il destino delle immagini oggi, il rapporto tra verità, didattica e spettacolo, la tensione tra contenuto e forma.

Rossellini – Più di una vita
Rossellini – Più di una vita

Rossellini – Più di una vita

Rossellini – Più di una vita si inserisce allora nel solco di un rinnovato interesse per la memoria del cinema italiano, ma sceglie una via più meditativa, meno giornalistica. Il suo valore è nella ricomposizione di un’assenza: Rossellini non c’è più, ma la sua voce continua a chiedere senso al mondo. In fondo, il documentario è anche una riflessione sulla crisi come condizione creativa, sul bisogno di distruggere per rinascere, sulla possibilità - rara e necessaria - di vivere più di una vita.