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The Things You Kill
Nella primissima scena di The Things You Kill il protagonista, Ali (Ekin Koç) è inquadrato fuori fuoco nell’angolo della sua cucina. Poco a poco l’immagine si fa più nitida, ascoltiamo (con quel bellissimo, lentissimo zoom in verso il balcone) il sogno che ha fatto sua moglie Hazar (Hazar Ergüçlü) – che ritroveremo poi in quel finale altrettanto onirico e angosciante – e iniziamo a prendere confidenza con il personaggio. Docente di letterature comparate rientrato in Turchia dopo un quindicennio negli States, Ali ha un lavoro a termine, scopre di non poter avere figli, ha una madre semiinferma e un padre dispotico.
La morte sospetta della madre coincide con l’arrivo di una nuova figura nella vita dell’uomo, un misterioso viandante, Reza (Erkan Kolçak Köstendil), che si offre come giardiniere nei campi della sua tenuta di campagna.
Alireza Khatami aveva concepito questo film per il suo paese natale, l’Iran, ma i consueti problemi legati alla censura lo hanno spinto a modificare il contesto entro cui iscrivere questa complessa e affascinante allegoria sulla discendenza della violenza.
The Things You Kill è un’opera metamorfica che gioca su più campi, dal dramma psicologico al thriller, per ragionare sull’ineluttabile ereditarietà del male in una società patriarcale. Per farlo, Khatami adotta un escamotage spiazzante che non può non far tornare alla mente (con tutte le differenze del caso, ovviamente), l’inspiegabile cambio d’identità nelle Strade perdute di David Lynch.


The Things You Kill
È proprio su questo concetto delle possibili, multiple identità che ragiona il film – dall’impianto teorico molto suggestivo, si pensi alla lezione che lo stesso Ali porta avanti sull’etimologia araba della parola “tradurre”, che coincide con “uccidere” – sempre sospeso tra la natura fragile e la propensione all’aggressività di un protagonista che si sdoppia, passando letteralmente nel corpo di un altro.
Non a caso, a posteriori, i momenti più rivelatori sono proprio quelli dove le due possibili versioni dell’Io lottano per avere la meglio una sull’altra: incatenarne una, dapprima, per riprendere il pieno controllo sulla propria vita, vendicare la violenza subita, sopprimere l’altra per liberarsi da una condanna che appare inevitabilmente ciclica. E che prende le mosse – come per ammissione dello stesso regista – dall’esigenza personale “di riconciliarmi con la mia storia. È un tentativo di fare chiarezza con me stesso, di affrontare le ombre che persistono e di capire come mi hanno plasmato”.


The Things You Kill
Khatami esplora così le possibili traiettorie attraverso le quali si tramanda il trauma nelle famiglie, e come questo trauma non sia solamente personale ma anche sociale (ancora campeggiano, gigantesche, le effigi di Atatürk…), con i simboli dell’autorità che influenzano ancora oggi le narrazioni personali: liberarsi completamente da questo retaggio è cosa impossibile – ecco tornare, in quel finale potentissimo, il sogno cui si faceva cenno all’inizio… – l ’unica via d’uscita è tentare di comprendere e scegliere un nuovo percorso. Notevole.