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If I Had Legs I'd Kick You
Ma l’autodeterminazione e il disagio sono due facce dello stesso genere cinematografico, quello prevalente qui e ora, il femminile? Attaccateci l’etichetta di A24, e siamo a cavallo, anzi, giumenta: che fatica, quanti perché, e ancor più “ma come”.
Questioni di genere, illazioni di senso che tracimano da If I Had Legs I'd Kick You, scritto e diretto dall’americana Mary Bronstein, transitato alla Berlinale, dove l’attrice Rose Byrne s’è laureata la migliore, al Sundance e ora alla Festa del Cinema di Roma.
Protagonista è Linda (Byrne), una psicologa di mezz'età di Montauk che non se la passa bene: il marito, capitano di crociera, è spesso via per lavoro e stressa comunque; la figlia, di cui non vediamo il volto, si alimenta con un tubo dalla nascita, il terapeuta (Conan O’Brien) non aiuta, e piove, governo ladro, dall’appartamento di sopra, sicché tocca trasferirsi in un motel, dove la donna incontrerà il custode James (A$AP Rocky).
A rimpolpare la collezione di figurine Christian Slater, If I Had Legs I'd Kick You è un brutto film, esagitato nella forma (closeup, POV, pianosequenza, e altri ghirigori del nulla), bivaccante nella storia, inconcludente nel senso, epperò assai rivelatorio nel dare cinematograficamente a Cesara quel che è di Cesara: Die My Love ha una signora regista, Lynne Ramsay, qui al più c’è una signora.
Un giochino poco birichino, da titolo, una sgambata senza Coppa Cobram, un dramma esteriore che fa di tutto per farsi vedere, esibizionista con cattivo gusto e woman’s empowerment per deliquio: non va, e ammorba, piegando la bella e anche un po’ brava Rose Byrne al campionario dell’(anti)eroina vessata, vessatoria, inevasa e invasata.
Gli rivolgeremmo contro il titolo che s’è scelto, ma così vanno le cose, così soffia lo Zeitgeist: troverete, e non uno, chi vi dirà che è un bel film. Sapete dove e come prenderlo.