Moss è Kate, la supermodella che ha infiammato gli anni Novanta; Freud non è Sigmund ma suo nipote Lucien, uno dei più importanti ritrattisti inglesi del secolo scorso. Che c’entra un’icona della cultura pop, nonché presenza fissa dei tabloid, con una rockstar dell’arte contemporanea?

Nel 2001, Kate Moss, all’apice della carriera e del disorientamento (beve molto, si droga, fa nottate: “sono solo distrazioni”), rivela a Dazed & Confused di volersi far ritrarre da Lucien Freud. Il pittore legge l’intervista e le propone un incontro, che avviene alla National Gallery di fronte Diana e Atteone di Tiziano, il quadro preferito di Freud. I due sembrano riconoscersi, trovando l’uno nell’altra qualcosa di misteriosamente affascinante: così, nonostante i mille impegni e i troppi contratti da onorare, Moss decide di posare per nove mesi nello studio dell’artista, noto per le sedute estenuanti se non punitive: lui le insegna la disciplina, lei gli fa regala una rinnovata leggerezza.

Moss & Freud
Moss & Freud

Moss & Freud

Ne viene fuori Naked Portrait, con Moss, distesa nuda su un letto, incinta della figlia Lila Grace (avuta con l’allora compagno, Jefferson Hack, direttore di Dazed): una figura ritratta con stile viscerale ed espressionista, dai toni dorati, racchiusa tra due ampi triangoli bianchi che conferiscono all’opera il senso di un artificio (per la cronaca: il dipinto è stato battuto all’asta da Christie’s nel 2005 per più di sei milioni di dollari).

Prodotto dalla stessa supermodella, Moss & Freud – nel Grand Public della XX Festa del Cinema di Roma – è racchiuso nella citazione iniziale del pittore, una dichiarazione programmatica per capire non solo le personalità in campo ma anche la natura della curiosa relazione: “Mi interessa solo dipingere la persona in sé – sostiene Freud – e non usarla per un fine artistico nascosto. Per me, sarebbe sbagliato usare qualcuno che fa qualcosa che non gli appartiene”.

Scritto e diretto da James Lucas (al primo lungometraggio dopo vari corti, compreso The Phone Call che gli valse l’Oscar), il film ragiona su come l’atto dell’osservare una figura molto in vista possa consistere nella restituzione di uno sguardo inedito. La Moss che vediamo ha a che fare con la sua immagine pubblica, è quella scatenata nelle feste sadomaso, quella “paparazzata” da un cliente nel ristorante, quella sottovalutata dal librario scettico.

Moss & Freud
Moss & Freud

Moss & Freud

La Moss che vede Freud, invece, è un corpo inquieto che ha bisogno di regole, schemi, impegni e può essere ritratto davvero solo mettendo a disagio la nostra consuetudine a percepirla evidentemente e canonicamente bella. In questo senso è anche un racconto di formazione, con il pur problematico Freud chiamato (da se stesso anzitutto) a rivestire un ruolo da mentore e Moss che, raggiunta una specie di maturità, si preoccupa di mettere un po’ di ordine nel privato del vecchio artista.

Con un budget non esorbitante, focalizzandosi molto negli interni e soprattutto nella casa-studio di Freud (i dettagli contano: colori incrostati sul muro, lumache che strisciano, sigarette che aprono varchi nella memoria), Lucas illustra la vicenda con affetto e calore, elude le questioni più spigolose e sceglie un approccio lineare, affidandosi alla chimica tra Ellie Bamber e il sempre grande Derek Jacobi.