Più si avvicina la morte, più si amplifica il senso di alienazione. E con esso quel pericoloso senso di assuefazione, per noi “spettatori”, di un qualcosa che non può, non deve, essere considerato la normalità.

È forse questo il momento cruciale di Put Your Soul on Your Hand and Walk, il film della regista dissidente iraniana Sepideh Farsi, già ospitato in ACID a Cannes 2025 e ora in Special Screenings alla XX Festa di Roma (sarà poi distribuito a novembre da Wanted Cinema), che racconta Gaza attraverso mesi di videochiamate con Fatma Hassouna, giovane scrittrice, fotografa e giornalista palestinese, poi uccisa insieme alla sua famiglia nella notte del 16 aprile 2025, in seguito ad un attacco aereo che ha colpito la sua casa nel quartiere di Al-Tuffah, esattamente un giorno dopo l’ultima conversazione avuta con la Farsi, che la informava del fatto che il film era stato selezionato al Festival di Cannes.

In una delle ultime telefonate Fatma confida a Sepideh questa sensazione depressiva, questo svuotamento che la costringe a non desiderare più nulla, a rimanere ferma ad osservare tutto il dolore che la circonda. E proprio in quel momento è come se venissimo chiamati in causa anche noi, “spettatori” inermi di una tragedia che non può lasciare indifferenti.

“Ogni secondo, quando cammini per strada, metti l'anima in mano e cammina”: così facendo Fatma ha potuto documentare l’orrore quotidiano vissuto dalla sua terra all’indomani del 7 ottobre 2023.

E le sue foto riempiono il silenzio dell’orrore, tra una videochiamata e l’altra: “Quando ho incontrato Fatma Hassona è avvenuto un miracolo. Lei è diventata i miei occhi a Gaza, dove resisteva documentando giorno per giorno la guerra. E io sono diventata un collegamento tra lei e il resto del mondo, dalla sua ‘prigione di Gaza’, come la definiva lei. Abbiamo mantenuto questa linea di comunicazione per quasi un anno. I frammenti di pixel e suoni che ci siamo scambiate sono diventati il film che vedete”, spiega la regista iraniana, capace di instaurare con Fatma un rapporto a distanza che poco a poco si fa sempre più amichevole, intimo, alternando questa linea narrativa – contraddistinta dall’instabilità della connessione – alla nitidezza di un reportage dal campo.

Sepideh Farsi © Lina Botero - Gabo Festival 2025.jpg
Sepideh Farsi © Lina Botero - Gabo Festival 2025.jpg

Sepideh Farsi © Lina Botero - Gabo Festival 2025.jpg

Il sorriso di Fatma, anche quando racconta e mostra i bombardamenti che hanno raso al suolo i palazzi adiacenti, è il simbolo di una resistenza che va oltre il concetto di vita e di morte: “Non ci sconfiggeranno mai”, dice ad un certo punto, nonostante la sistematica distruzione portata avanti da Israele per annientare il suo popolo. Affidandosi poi ad un sogno purtroppo reciso troppo presto: "Spero di vivere la vita che voglio. Devo continuare a documentare, così potrò raccontare ai miei figli quello che ho passato e quello a cui sono sopravvissuta". Non ha avuto il tempo di avere figli, Fatma, ma quello che hanno visto i suoi occhi, e la sua voce (anche attraverso le sue poesie), non moriranno mai. Anche grazie al lavoro di Sepideh Farsi, regista iraniana di stanza parigina che non può far ritorno nel suo paese.