Il tempo passa e non torna più, ma restano i ricordi che ci siamo costruiti, le parole tra noi leggere, le immagini fermate nella memoria. Le persone se ne vanno, è la natura a imporlo, ma da qualche parte il loro cuore batte per noi. Il cuore di Clara Sereni, la scrittrice scomparsa nel 2018, continua a battere in ogni fotogramma di Il figlio più piccolo, il cui titolo si riferisce a Matteo Rulli, avuto con lo sceneggiatore Stefano – qui regista insieme a Giovanni Piperno – nel 1978. È un’assenza lancinante, quella di questa madre diventata pioniera in un’Italia incapace di comprendere – e di accettare – cosa sia l’autismo, così determinata ad aiutare il figlio e le altre persone come lui – nonché le rispettive famiglie – al punto da fondare con Stefano Rulli, nel 1991, “La città del sole”, una casa famiglia progettata per favorire l’inserimento di ragazzi con ogni tipo di diversità.

L’avventura umana dei Rulli era stata già raccontata in Un silenzio particolare, che ventuno anni fa ne inquadrava problemi e risorse in particolare attraverso il rapporto tra padre e figlio, quest’ultimo colto con lo sguardo perso nel vuoto di fronte a un Super8 sgranato. È sempre un home movie – cambiano i supporti e i dispositivi ma non la sostanza – ad aprire Il figlio più bello, che continua a seguire il percorso dei Rulli, con il padre ormai anziano impegnato in un esperimento pilota di convivenza tra il figlio e degli studenti universitari.

Il figlio più bello
Il figlio più bello

Il figlio più bello

A differenza di Un silenzio particolare, stavolta Stefano Rulli si fa accompagnare da Piperno, tra i massimi esponenti del nostro cinema del reale, e scopre la possibilità di triangolare tre movimenti: la riflessione sull’evoluzione della psichiatria, con l’accesso e nuovi strumenti per affrontare la malattia mentale dentro un tessuto collettivo; la preoccupazione personale nei confronti di un figlio – quasi cinquantenne – che, dopo decenni faticosi tra diagnosi sbagliate e crisi di aggressività, sta per coronare il sogno impossibile del viaggio in Vietnam; e l’occasione imprevista di confessarsi e prendere di petto un dolore rimosso.

Aiutato dalla sensibilità di Piperno, Rulli si mette a nudo ricapitolando le tappe di una vita che coincide inevitabilmente con la storia dell’Italia di fine secolo – i progressi nel relazionarsi con lo spettro autistico sono un’ottima cartina di tornasole per raccontare il Paese – ma soprattutto di quel cinema dopo la rivoluzione che Rulli stesso ha contribuito a plasmare. Dalle esperienze militanti di Matti da slegare al personaggio “diverso” di La meglio gioventù fino al legame tra padre e figlio in Le chiavi di casa, Il figlio più bello sembra omaggiare l’incidenza “nascosta” di Matteo nelle storie del padre, un cinema poco amato dal figlio adolescente, convinto che il lavoro della sceneggiatura rubasse tempo al loro rapporto.

Il figlio più bello
Il figlio più bello

Il figlio più bello

Ma se Un silenzio particolare diventava l’occasione per accogliere Matteo nel mondo del padre in un corpo a corpo testimoniato dalla telecamera, Il figlio più bello si serve del terzo occhio di Piperno per accostarsi a Stefano e convergere la sua necessità di lasciare Matteo alla scoperta dell’ignoto e il tentativo di penetrare nel suo mondo interiore. E Il figlio più bello, un film nato per “aggiornare” lo stato di un legame, spiazza quando il vecchio sceneggiatore non si sottrae a un dolore mai del tutto esplorato, fa i conti con l’assenza di una moglie via via sempre più lontana e ci squarcia il cuore trasfigurando il personale nel collettivo e viceversa. Un grande film terapeutico, Special Screening alla XX Festa del Cinema di Roma.