C’è, nel nuovo film di Paolo Virzì, un uomo spezzato e una comunità che prova a rifondarlo. Lui è Adriano (Valerio Mastandrea), avvocato ricco e depresso ritiratosi nelle stalle ristrutturate di una villa toscana in decadenza. Quei “cinque secondi” in cui si è distratto — abbastanza per perdere tutto — sono il cuore segreto del racconto: non solo l’istante del trauma, ma la misura morale di una paternità mancata, l’unità di tempo della colpa che si dilata a vita intera. Quando ci siamo distratti?, domanda il film; quando, cioè, abbiamo smesso di guardare i figli, di ascoltarli, di prenderci cura del loro presente senza proiettarci addosso un futuro prefabbricato. È l’interrogativo che attraversa la filmografia di Paolo Virzì e qui ritorna con una chiarezza tagliente.

Che il regista firmi uno dei suoi lavori più cupi lo dicono il tono, il passo, la rinuncia al bozzetto comico come scialuppa. Ma dentro questa amarezza c’è la sua antica fiducia nel racconto: far vedere come le persone, malgrado tutto, si cambiano a vicenda. In questa traiettoria, Mastandrea non è un semplice ritorno di casting, è una ricongiunzione tematica. Dal Bruno di La prima cosa bella al nuovo Adriano, l’attore conserva la dote rara di mettere in scena l’uomo in fuga dalla propria storia e poi, quasi obtorto collo, il suo rovesciamento: l’assunzione di responsabilità. Se in La prima cosa bella la riconciliazione passava dalla madre e dalla riappropriazione di un sé ferito, qui il baricentro si sposta sulla paternità come campo minato, dove il senso di colpa è allo stesso tempo scudo e prigione. La prova in tribunale - “assolo” che il film costruisce con pazienza - diventa allora l’atto in cui la retorica della difesa lascia spazio alla verità, e la legge degli uomini sfiora la legge intima dei legami.

Cinque secondi (2025) Antonello&Montesi
Cinque secondi (2025) Antonello&Montesi

Cinque secondi (2025) Antonello&Montesi

Attorno ad Adriano si forma una piccola comunità di giovani - studenti, agronomi, neolaureati - che occupa la villa e ne cura la campagna. È un controcampo generazionale che mette a nudo l’inadeguatezza del protagonista e lo costringe a un’educazione sentimentale tardiva. Tra loro c’è Matilde (Galatea Bellugi), la “contessina” cresciuta in quei filari, incinta, sospesa fra nevrosi, desiderio di riscatto e bisogno di radici. Il rapporto che nasce, aspro e necessario, è il motore drammaturgico del film: l’asimmetria tra i due non cerca una morale edificante, ma un contatto, imperfetto e vivo, capace di rimettere in circolo l’energia affettiva che Adriano ha azzerato. In questo senso Cinque secondi riprende il filo di Il capitale umano (responsabilità, colpa sociale, fratture di classe) e lo intreccia con l’attenzione per i corpi vulnerabili e le famiglie inattese di La pazza gioia, ma spostando il fuoco sul nodo padre/figli e sulla domanda: cosa resta del patto generazionale quando l’adulto abdica?

Cinque secondi (2025) Antonello&Montesi
Cinque secondi (2025) Antonello&Montesi

Cinque secondi (2025) Antonello&Montesi

Virzì torna in Toscana come a un laboratorio di verità. Lo spazio della villa - insieme rovine e promessa - funziona da dispositivo morale: è un dentro-fuori continuo tra il ritiro misantropo di Adriano e l’irruzione del mondo, tra autoconservazione e cura dell’altro. La messa in scena alterna il gesto trattenuto (sigaro, silenzi, rituali di solitudine) a momenti di attrito collettivo: il pigiare l’uva nella tinozza comune, la convivenza forzata, il lavoro nei filari. Sono scene che, a tratti, sfiorano l’allegoria agricola e rischiano l’edificante; ma proprio lì il film si misura con il suo tema: la paternità è anche lavoro, tempo condiviso, ripetizione di gesti che fanno comunità. È nel montaggio delle stagioni — primavera, estate, vendemmia - che la cura prende forma e che la colpa, senza dissolversi, si lascia almeno attraversare.

Il copione, scritto da Paolo Virzì con il fratello Carlo e Francesco Bruni, cerca l’equilibrio tra due linee: il dramma intimo dell’uomo che ha sperimentato la perdita più devastante e la parabola civica di un microcosmo che sperimenta una convivenza possibile. Saldatura imperfetta, tuttavia le traiettorie affettive reggono, sorrette da un cast in stato di grazia: oltre a Mastandrea, una Valeria Bruni Tedeschi che lavora per sottrazione, e Galatea Bellugi capace di oscillare tra fragilità e spigoli.

Valerio Mastandrea con Paolo Vorzì sul set di Cinque secondi (2025) Antonello&Montesi
Valerio Mastandrea con Paolo Vorzì sul set di Cinque secondi (2025) Antonello&Montesi

Valerio Mastandrea con Paolo Vorzì sul set di Cinque secondi (2025) Antonello&Montesi

Nel mosaico virziniano, Cinque secondi dialoga anche con Caterina va in città e Tutta la vita davanti: lì l’educazione sentimentale passava attraverso la scuola e il lavoro, qui la prova è più radicale perché investe l’ergonomia stessa dell’amore paterno. Di fronte al lutto, il film non cerca consolazioni metafisiche: chiede invece agli adulti di guardare - davvero - i figli, i loro desideri, le loro impazienze, le loro paure. La “distrazione” è allora la malattia del nostro tempo: l’attenzione sequestrata da schermi, ambizioni, autoprotezione; la paternità ridotta a ruolo, non a relazione. Cinque secondi bastano per precipitare; una vita intera potrebbe non bastare per risalire. Il cinema però può indicare il gesto minimo per ricominciare: restare, ascoltare, assumere su di sé il peso e la cura.

Nel finale, quando la paternità trova un’ipotesi di pace, non un’assoluzione, Cinque secondiraggiunge il suo punto più onesto. Non redime; riconosce. E ci ricorda che a volte la maturità consiste nel non sottrarsi più allo sguardo dell’altro.