C’è da dire che il cinema non è rimasto in silenzio di fronte alla guerra dentro casa, cioè nell’Ucraina invasa dalla Russia e nell’Europa ignava di questa sciagurata epoca. Se l’informazione e la verifica dei fatti spettano al giornalismo, d’inchiesta o sul campo che sia, sta al cinema la possibilità di restituire la tragedia prescindendo dalle caratteristiche di un notiziario illustrato e provando a produrre immagini che non siano già condannate al calderone dell’assuefazione. Film come 20 Days in Mariupol, The Invasion, Porcelain War, Timestamp, Lirica ucraina hanno restituito la guerra secondo poetiche e prospettive diverse, molto legate allo sguardo dei registi coinvolti.

Premiato come miglior documentario alla XX Festa del Cinema di Roma, Cuba & Alaska di Yegor Troyanovsky – già autore di Bes, su un ragazzo ucciso nella guerra del Donbas, e di Ukraine Overcoming the Darkness – aggiunge un ulteriore tassello al mosaico delle narrazioni belliche: non è tanto l’esperienza del filmmaker a imporsi quanto quella delle due protagonisti titolari, mediche in prima linea che affiancano i soldati sul campo ma soprattutto migliori amiche. Quella affettiva diventa, così, la chiave d’accesso a un mondo che finora abbiamo imparato a conoscere soprattutto da lontano. E che Troyanovsky – già giornalista, nonché soldato delle forze speciali ucraine – decide di abbracciare completamente, facendoci partecipi di un rapporto che non rinuncia alla miccia dell’ottimismo così come a un senso dell’umorismo che esorcizza la tragedia quotidiana e non si vergogna di essere perfino scomodo, diciamo cupo.

È un approccio interessante, sì dovuto alle personalità di Cuba e Alaska, ma anche alla scelta coraggiosa di non sfrondare questa qualità per paura di risultare inopportuni. Certo, non parliamo di una commedia né di un film che minimizza o svilisce il senso del dramma. Al contrario: per resistere al dolore, alla consapevolezza che si può tornare indietro, alla banalità del male, a salvarci è lo spirito di un popolo incarnato da due donne che non cercano scorciatoie e prendono di petto la realtà. Come? Immaginando un futuro, sognando qualcosa che non sia luttuoso, facendosi forza in un’unione che funziona anche a distanza, scommettendo sulla possibilità di un amore. Una prospettiva che non rinuncia all’ipotesi della speranza, alla sua necessità.