PHOTO
Bugonia
Due anni dopo il Leone d’Oro vinto con Povere creature!, Yorgos Lanthimos torna in concorso a Venezia (poi dal 23 ottobre in sala) con Bugonia, remake del film coreano del 2003 Save the Green Planet! di Lee Byung-goo.
Nelle mani del regista greco (che porta sullo schermo lo script di Will Tracy), da qualche tempo in piena trance agonistica (il dimenticabile Kinds of Kindness era in gara a Cannes nel 2024), il pattern originario resta pressoché immutato, a cambiare è inevitabilmente la forma, piegata ad una cifra stilistica ormai talmente riconoscibile da farsi “marchio”.
Bugonia – titolo che si rifà al mito della generazione spontanea della vita, poi inscritto nelle Georgiche virgiliane, con lo sciame di api che nasce dal ventre di un bue morto – dà un colpo ai complottisti e uno al complotto, declina in dark comedy le traiettorie del solito umorismo caustico caro al regista di La favorita e The Lobster, che dirige per l’ennesima volta (la quarta consecutiva) Emma Stone e richiama a sé Jesse Plemons (dopo Kinds of…): la prima è Michelle, la potentissima CEO di una multinazionale che si occupa di ricerche scientifiche, il secondo è Teddy, un apicoltore cospirazionista che vive con il cugino un po’ picchiatello.
Segnato da tempo dalle condizioni di salute della madre, Teddy è sicuro che dietro la Sindrome dello Spopolamento degli Alveari ci sia proprio la mano di quella azienda. E che Michelle altro non sia che un alieno andromediano sotto mentite spoglie, giunto sulla Terra con lo scopo di far estinguere il genere umano. Per questo, dopo aver convinto anche il cugino di questa follia, i due si attivano per rapirla.


Commedia dell’assurdo governata dall’abituale sguardo asettico, Bugonia è meno respingente (e noioso) di Kinds of Kindness, ugualmente verboso ma tutto sommato divertente: la battaglia giocata sui nervi tra carnefice e vittima (Emma Stone ci rimetterà capigliatura e ginocchio…) diventa manifesto di lotta tra due modi di pensare il mondo, distopia paradossale che si fa iperbole straniante e lisergica (ancora una volta Lanthimos si affida alle musiche di Jerskin Fendrix, con quegli archi minacciosi…), critica dissacrante al sottobosco delle paranoie e alla cultura corporate (la concessione di poter uscire dall’azienda alle 17.30, ma insomma, ecco, mettetevi una mano sulla coscienza…), passando per le questioni di natura ecologica, al controllo delle masse, alla salute mentale…
Niente di particolarmente nuovo (si pensi anche al recente Eddington di Ari Aster, qui produttore, passato a Cannes e curiosamente previsto in sala qualche giorno prima di questo, il 17 ottobre), se non fosse per l’ennesima performance totalizzante di una Emma Stone (eh già, era anche in Eddington, moglie apatica del protagonista Joaquin Phoenix…) che da Povere creature! in poi continua a lasciarsi “martoriare” da Lanthimos. Ben sapendo che in ogni circostanza saprà come affrancarsi dalle catene (e dalle torture) inflitte. E noi zitti sotto, stavolta annientati dal ribaltamento (piuttosto prevedibile, certo) che condurrà ad un epilogo dapprima – letteralmente – esplosivo. Infine apocalittico.