È nato prima Eddington o Trump? Scherzi a parte, ci risiamo: dopo essere stato incarnato da Sebastian Stan nella origin story The Apprentice per la regia di Ali Abbasi l’anno scorso, il 45° e 47° presidente degli Stati Uniti torna a Cannes con il quarto lungometraggio di Ari Aster, in Concorso, che ne accoglie l’ombra lunghissima, l’influenza antropologica, il contagio politico.

Dopo l’esordio Hereditary, il sopravvalutato Midsommar e il disastroso Beau ha paura, il newyorkese classe 1986 Aster inquadra un viaggio al termine della notte americana, e chissà che dopo Anora la Palma non vada ancora Oltreoceano. Aster viene dall’horror, che da genere di riferimento qui diviene condizione di stato o, forse, Stato: fake news, polarizzazione, attivismo social, teorie cospirazioniste, sperequazione, razzismo, tutto nel frullatore, e il precipitato è cinematograficamente spassoso, moralmente inquietante, esistenzialmente da ricovero. O, meglio, da buttare la chiave.

Sguazziamo nel brodo di cultura del trumpismo, in cui non vi è soluzione di continuità tra privato e pubblico, ma porte aperte, anche dell’obitorio: gli spari sopra sono per noi, la sparate per tutti, ché l’opinione è la regola, il sentiment la legge. Che cosa volere di più? La pandemia, ritrovata nel maggio del 2020 – sì, era in carica Trump - a Eddington, New Mexico, dove tra lo sceriffo Joaquin Phoenix e il sindaco Pedro Pascal non corre buon sangue: conflitto d’interessi, scontro di poteri, e la dabbenaggine, lato sceriffo, che si accompagna all’impunità, la scelleratezza al qualunquismo.

Si va a tastoni, senza comprendere, ma tutto annoverando, dal Black Lives Matter e Klan, dalla stolen land al privilegio – e suprematismo – bianco, con i John Wayne ridotti a parodia, le rosse a ombre brutte, la frontiera al frontale con la realtà. E la piazza, la manifestazione chiamata in correità.

Lo sballo, il non ubi consistam è pienamente cinematografico, l’horror è esternalità negativa, l’action derubricato ad ammazzatine scomposte, la detection contagio (e non cura): Aster ci prende le misure, ci toglie le distanze, ci sprofonda in un noir demente, fesso – più che ferro - e fuoco, dove i Coen, Lanthimos, perfino Lynch hanno qualcosa da spartire.

Nel cast Emma Stone e Austin Butler, è la paranoia a dar le carte, a legare – il montaggio di Lucian Johnson è tanta roba – le immagini e a derubricare il western agli affari – sì, affari! – correnti: dove non finisce il trauma intimo e attecchisce la disfunzione collettiva, quando la malattia, il ciarlatanesimo in primis, diviene stato (in)civile?

Fotografia autoptica di Darius Khondji, l’ironia per sovvertimento, il nonsense per grimaldello, Aster perfeziona il proprio talento, A24 mette fieno in cascina per l’award season e… l’America si sputa in faccia, un po’ bava, un po’ bile. E tanto Trump. Ricorderemo questo Eddington come un omicidio su commissione: del Sogno Americano.