C’è qualcosa di paradossale nell’esordio alla regia di Ludovica Rampoldi, e non solo perché arriva con la patente di una delle sceneggiatrici più brillanti della sua generazione – da Gomorra a Il traditore, passando per Esterno notte e Bad Guy. Il paradosso è che proprio la forza della scrittura, l’elemento che più ha definito la sua identità autoriale, qui sembra smarrirsi. Breve storia d’amore, presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, è infatti un film di parole senza la musica delle parole, di situazioni senza la necessità delle situazioni. Un film di adulteri in cui il tradimento più significativo non è quello tra i personaggi, ma quello – doloroso, quasi simbolico – tra la Rampoldi sceneggiatrice e la Rampoldi regista.

La trama segue due coppie in crisi in un gioco di incastri che si vuole raffinato ma finisce per apparire calibrato al millimetro, con tanto di capitoli, voci fuori campo e “oggetti concettuali” – un quaderno delle parole intraducibili, la pratica della scacchi-boxe, una copia dell’I-Ching – che cercano metafore dove basterebbe la vita. È come se la regista avesse voluto smontare e rimontare il romanzo sentimentale borghese, ma senza trovarne una lingua nuova. Ne esce una partitura elegante e incolore, con dialoghi irreali e svolte da romanzo rosa, dove l’architettura conta più dell’emozione e la sorpresa più del senso.

BREVE STORIA D’AMORE Valeria Golino Pilar Fogliati Ph kimberleyross
BREVE STORIA D’AMORE Valeria Golino Pilar Fogliati Ph kimberleyross

BREVE STORIA D’AMORE Valeria Golino Pilar Fogliati Ph kimberleyross

Eppure, dietro questa compostezza, si intuisce una tensione autentica: la volontà di uscire dal recinto dell’arthouse e di confrontarsi con un pubblico più ampio, di riportare la commedia sentimentale – e il suo lessico – dentro una grammatica moderna. Ma l’apertura, invece di generare contaminazione, produce indebolimento. Il film rimane in bilico: né dramma né leggerezza, né introspezione né gioco d’autore. Come se l’autrice avesse paura di scegliere, o forse di sporcarsi le mani con il disordine del sentimento.

Nel contesto del cinema italiano recente, Breve storia d’amore si colloca accanto a quella linea di “commedie borghesi” che cercano una terza via tra autorialità e consumo, tra conversazione e dispositivo. Da Perfetti sconosciuti a Settembre, passando per Ozpetek, Genovese o le declinazioni più levigate del “dramma da salotto”, si riconosce una tendenza a trasformare la crisi di coppia in spazio narrativo chiuso, osservato più che vissuto. Ma laddove Settembre trovava naturalezza e vibrazione, Rampoldi sceglie la geometria: il “modulo a specchio” tra le due coppie, la regola del tre, il ritmo a orologeria. È un meccanismo di precisione che non vibra mai.

BREVE STORIA D’AMORE Pilar Fogliati Andrea Carpenzano ©Indigofilm
BREVE STORIA D’AMORE Pilar Fogliati Andrea Carpenzano ©Indigofilm
BREVE STORIA D’AMORE Pilar Fogliati Andrea Carpenzano ©Indigofilm

L’apparato tecnico è di alto livello – dalla fotografia limpida di Gogò Bianchi al montaggio chirurgico di Francesca Calvelli, dai costumi di Ciammitti e Cavalcoli alla partitura musicale di Fabio Massimo Capogrosso – ma l’eleganza formale diventa qui un sintomo di distanza. È un film che si guarda vivere, più che vivere, salvato, almeno in parte, dal cast: Valeria Golino, magnetica e malinconica, dà corpo a un personaggio fragile con la consueta grazia; Adriano Giannini, più introverso e ferito del solito, regala al film densità emotiva; Pilar Fogliati e Andrea Carpenzano incarnano con misura la leggerezza e la confusione dei trentenni di oggi, ma restano incasellati in ruoli troppo ben pettinati. Tutti, in fondo, sono prigionieri della stessa eleganza impostata.

BREVE STORIA D’AMORE Director Ludovica Rampoldi Pilar Fogliati Ph Andrea Pirrello
BREVE STORIA D’AMORE Director Ludovica Rampoldi Pilar Fogliati Ph Andrea Pirrello

BREVE STORIA D’AMORE Director Ludovica Rampoldi Pilar Fogliati Ph Andrea Pirrello
 

Più che un film sull’amore, Breve storia d’amore è un film sull’impossibilità di raccontarlo oggi senza scivolare nella formula. Rampoldi tenta di restituire al sentimento una dimensione adulta, ma finisce col ritrarlo in vitro. Non c’è cattiveria, non c’è erotismo, non c’è colpa: solo la compostezza di chi teme di disturbare. L’adulterio, che dovrebbe essere ferita o rivelazione, diventa coreografia.

Si esce con una sensazione di disagio educato. Sintomo di un cinema italiano che sembra temere più di ogni altra cosa il conflitto, lo sporco, il rischio, il compromesso. Breve storia d’amore è dunque, riprendendo l’incipit di questa recensione, un film paradossale: cesellato con rigore, ma privo di necessità. E nel suo paradosso sta anche la sua sincerità. È l’opera di un’autrice che, nel passaggio alla regia, mette in gioco sé stessa e scopre quanto sia difficile – oggi – raccontare l’amore senza mentire.