“Mi interessa il personaggio di Tommaso Buscetta perché è un traditore. Ma in verità chi ha veramente tradito i principi ‘sacri’ di Cosa Nostra non è stato Tommaso Buscetta, ma Totò Riina e i Corleonesi. Come si vede due modi opposti di tradire. Nella storia tradire non è sempre un’infamia. Può essere una scelta eroica. I rivoluzionari, ribellandosi all’ingiustizia anche a costo della vita, hanno tradito chi li opprimeva e voleva tenerli in schiavitù”.

Esattamente tre anni fa, proprio da Cannes (dove aprì la Quinzaine con Fai bei sogni), Marco Bellocchio annunciava quale sarebbe stato il suo nuovo film. Oggi torna sulla Croisette – in concorso – con Il traditore, film come lo definisce lo stesso regista “di vendette e tradimenti su Tommaso Buscetta”, detto anche il “Boss dei due mondi”.

Ancora una volta, però, quello che davvero interessa a Bellocchio non è semplicemente, non solo, il personaggio al centro di tutto, ma lo sfondo – storico, atavico, italiano – entro il quale Buscetta si è mosso, dal quale è provato a fuggire (con la nuova vita in Brasile), che ha finito poi per tradire, appunto, scoperchiandone i meccanismi e facendo nomi e cognomi.

Parla per quarantacinque giorni con Giovanni Falcone, poi scattano 366 mandati di cattura.

Dalla festa di Santa Rosalia del 1980 (che sancì l’accordo di facciata tra i palermitani e i corleonesi) all’aprile del 2000, giorno in cui Tommaso (Masino) Buscetta muore – nel suo letto, come si era sempre augurato – dall’altra parte del mondo, negli States. In mezzo scorrono 20 anni di storia italiana, le stragi più ignobili (quella di Capaci del ’92) e una resa dei conti infinita tra Riina e gli affiliati di Stefano Bontate.

 

Buscetta (“Io ero alla base della piramide, sono sempre stato un soldato semplice. Ho sempre preferito le donne piuttosto che comandare”), tre mogli, alla fine 8 figli (due dei quali barbaramente uccisi), proprio a quella festa che dà inizio al film intuisce che per lui i giorni sono contati.

E preferisce ritornare allora in Brasile (dove già era stato negli anni '70, nei suoi continui spostamenti per il traffico internazionale di eroina), sotto falso nome (tra i tanti utilizzati in vita Manuel Lopez Cadena, Adalberto Barbieri, Tomàs Roberto Felicce…), con l’ultima moglie Cristina (Maria Fernanda Cândido).

Arrestato ed estradato, torna in Italia: passerà alla storia per essere stato il primo “pentito” di mafia, per aver instaurato un'amicizia col giudice Falcone, per aver infine fatto anche il nome di Giulio Andreotti legandolo a due omicidi di mafia eccellenti (quello del generale Dalla Chiesa e del giornalista Mino Pecorelli).

Tornare al caso Moro.

Sarà un caso che la cronistoria messa in scena da Bellocchio riconduca verso il finale all'accenno di quei due omicidi così strettamente legati alle verità nascoste, taciute, relative al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro.

Quel che è certo è che nella filmografia ultra cinquantenaria del regista piacentino il primo film che viene alla mente guardando Il traditore è proprio Buongiorno, notte.

Sicuramente perché qui, come allora, si mettono in scena personaggi con nome e cognome appartenuti realmente alla Storia, e anche stavolta - come nel caso del film sulla prigionia di Aldo Moro per mano delle BR - Bellocchio tenta di portarne a galla non solo le caratteristiche, fisiche ed emotive, che sono poi passate agli annali.

Iniziando dal lavoro di Pierfrancesco Favino, che restituisce la complessità dell'uomo/personaggio Buscetta, Il traditore scava la crosta di situazioni e rapporti a dir poco stratificati, servendosi di un cast di "comprimari" (dal Giovanni Falcone di Fausto Russo Alesi al Pippo Calò di Fabrizio Ferracane, dalla Cristina di Maria Fernanda Cândido al Totuccio Contorno di Luigi Lo Cascio) capace di trattenere sui giusti binari il corso (non poco lungo, 148') dell'intero film.

Che prova a fermare nel tempo (quei flash che imprimono con forza gli scatti nella grande villa durante la festa di Santa Rosalia) il volto di un'Italia malata, ne conteggia letteralmente le infamie (il crescendo numerico in basso a sinistra nello schermo con cui rimarcare la serie di uccisioni durante la faida tra Corleonesi e palermitani) e ragiona con spessore sul concetto di tradimento (il traditore per antonomasia, Buscetta, può davvero considerarsi tale se l'oggetto del suo tradimento, Cosa Nostra, lo ha tradito in precedenza modificando nel corso degli anni i suoi "principi"?), sul senso "dell'onore" e sull'ambiguità con cui lo Stato ha deciso di rapportarsi a un mafioso.

 

Ecco, rispetto a Buongiorno, notte, per riprendere il filo di un ipotetico parallelismo, manca forse quella straordinaria componente che rendeva così affascinante, onirica e magmatica la cifra di quella discesa all'interno di una segreta che, nomen omen, ha inghiottito per sempre l'idea di uno Stato la cui trasparenza venne offuscata per sempre. È come se il fantasma di Aldo Moro, che Bellocchio immaginava in cammino, da solo, in quella notte del maggio 1978, si sia smaterializzato definitivamente.

Neanche due anni dopo sarebbe iniziata un'altra storia, l'ultimo ventennio della vita di Tommaso Buscetta, l'ultimo ventennio del Novecento italiano. Rimane poco da immaginare, è il culmine del confronto Stato-Mafia.

E in mezzo c'è un uomo che ha deciso di portarlo alle sue conseguenze più estreme. Un uomo capace di attendere anni prima di eseguire un omicidio che gli avevano ordinato di commettere (come suggerisce il bellissimo finale del film) e che, parlando, ha di fatto condannato a morte i vertici di un'organizzazione che sembrava indistruttibile, inattaccabile. Tradita da se stessa.