PHOTO
Barbora Bobulova e Adriano Giannini in Separazioni
La statua di una Madonna su una seggiovia che sale sulle vette di una montagna innevata. L’immagine abbaglia nel suo nitore, il senso del sacro interroga una natura così minacciosa nella sua apparente quiete, l’icona non si immola al simbolismo. D’altronde il cinema del prolifico Stefano Chiantini non punta ai voli pindarici, non cerca le metafore d’accatto: il minimalismo quasi per ideologia, la sottrazione come vocazione, l’essenziale visibile agli occhi.
Per Separazioni, il suo decimo lungometraggio in ventuno anni (il quinto negli ultimi cinque), sceglie un bianco e nero - la fotografia è del grande Paolo Carnera - che non è posa arthouse ma dichiarazione d’intenti: da una parte esalta il candore terribile della neve e l’oppressione che si apiccica addosso, dall’altra c’è una scarnificazione espressiva funzionale alla progressiva catabasi dei protagonisti.
Separazioni svela il disgregamento di una coppia forse già disgregata: quando la figlia rimane vittima di un incidente un montagna, marito e moglie si chiudono nei rispettivi tormenti, mentre il secondogenito si sente smarrito se non proprio abbandonato.


Separazioni
Il titolo dice già molto, nel solco dei Naufragi e delle Storie sospese, ma Chiantini si concede poche spiegazioni e pochi spiegoni (sono due o tre le scene che fanno vedere più di quel che già sappiamo), modula la strategia del pedinamento secondo la sensibilità di chi si mette accanto e non al di sopra o alle spalle dei personaggi, arriva dritto al punto senza perdersi nell’estemporaneo o nel gratuito.
E, complice il paesaggio sospeso tra spirito comunitario (con tutte le contraddizioni del caso) e disorientamento nella natura (tutto nell’entroterra d’Abruzzo, tra Campo Imperatore e i Monti della Laga: il regista è nato ad Avezzano), cerca un confronto con l’altrove e con il silenzio di dio, un faticoso conforto nella fede che vacilla, una connessione impossibile con un baluginio di speranza.
Rigoroso e asciutto, Separazioni conferma Chiantini quale ottimo cesellatore di figure femminili (ricordiamo Una madre, il suo apice), offrendo a Barbora Bobulova una bella occasione per misurarsi con la paura e l’orrore, lo smarrimento e la rabbia che monta dentro, con Adriano Giannini alle prese con un ruolo di rarefatta complessità. L’apparizione della Madonna nella neve scioglie i nodi, il finale è l’unico possibile e si apre a qualcosa, all’elaborazione, al colore. Presentato nella sezione Zibaldone del 43° Torino Film Festival.


