La storia, ottimo esempio di serialità larga e popolare, e il precedente Romanzo famigliare, sottovalutato e straordinario coming of age, non hanno allontanato Francesca Archibugi dal grande schermo. Ma Illusione – presentato in Grand Public alla Festa di Roma – conferma il passo incerto delle ultime sortite cinematografiche dell’autrice.

Non le basta allinearsi allo sguardo programmaticamente puro e innocente di Rosa, la quindicenne che lascia Bucarest al seguito di un losco cugino, sognando la gloria delle passerelle e ritrovandosi nell’orrore di uno sfruttamento che non riesce a comprendere fino in fondo. È una sopravvissuta: il film inizia con il suo ritrovamento in un fosso e con il sospiro che inaspettatamente ne scongiura la morte. Salvata e curata, non ricorda nulla né delle violenze che avrebbe subito né dei motivi che l’hanno spinta fino a Perugia.

L’enigma e il giallo prendono il sopravvento come a voler testimoniare l’impotenza di Archibugi – anche sceneggiatrice con Laura Paolucci e Francesco Piccolo – nel penetrare davvero in quel mondo adolescenziale di cui è stata narratrice magnifica e vocata all’autenticità e a costeggiare il lato buffo della malinconia.

Jasmine Trinca in Illusione
Jasmine Trinca in Illusione

Jasmine Trinca in Illusione

(Jarno Iotti)

L’approccio sembrerebbe coincidere con quello di Vivere, dove c’era una studentessa irlandese in Italia come testimone e filtro della storia, figura “ingenua” e di rottura rispetto al cinismo e alla cialtronaggine degli adulti, ma qui ci sono la salute mentale e l’inquadramento giudiziario a complicare le cose.

Non è un caso se il momento in cui la regista pare più accordata alla protagonista è quando incontra la sua fotomodella preferita, figlia di colui che fu segretario di suo nonno: è una breve parentesi tra due orrori, una specie di visita al luna park con tutti gli eccessi del caso, che mette in luce le ombre di un pezzo di mondo ma al contempo anche l’incapacità di Rosa nel capire ciò che accade e perché accade.

Il faticoso accesso alla sfera emotiva e psichiatrica della ragazza (interpreta da Angelina Andrei) induce Archibugi a mettersi accanto ai due adulti della vicenda, la rigida e brusca sostituta procuratrice che vede il ritrovamento di Rosa all’interno di una più vasta indagine su abusi e prostituzione, e lo psicologo, tornato nella natia Perugia dopo tanti anni, che instaura una relazione molto profonda e pericolosa con la misteriosa ragazza.

Filippo Timi e Michele Riondino in Illusione
Filippo Timi e Michele Riondino in Illusione

Filippo Timi e Michele Riondino in Illusione

(Jarno Iotti)

La vertigine più interessante – proprio perché inattesa in una variante di uno schema alla Lolita – sta nella tensione erotica tra Jasmine Trinca e Michele Riondino, evidentemente enemies to lovers, eppure in fondo è un altro elemento che determina confusione in Illusione, un anodino thriller morale che comunque indovina l’atmosfera (l’inverno perugino nella fotografia di Francesco di Giacomo) e l’umore (Filippo Timi, poliziotto che conosce la pancia, i rancori, le pulsioni del territorio).

Così artefatto nei flashback tra periferia di Bucarest e la glaciale Europa del potere, un po’ superficiale sul fronte dell’indagine giudiziaria, Illusione non sa emanciparsi dramma borghese e si mantiene a distanza di sicurezza dal trauma. C’è un momento in cui Francesca Reggiani, scafata suocera di Riondino – la moglie è interpretata da Vittoria Puccini – fieramente radical chic, piomba nella casa disordinata di figlia e genero, chiede invano un calice di vino e sentenzia: “Orazio, aurea mediocritas: la sentite?”. Ecco, appunto.