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Guillaume Marbeck e Richard Linklater sul set di Nouvelle Vague
Un anno fa a maggio, Parigi apriva una finestra sul passato. Sugli Champs-Élysées sfilavano auto d’epoca e i giornali nei vecchi chioschi di zinco riportavano i nomi di Eisenhower e de Gaulle. Sopra una collezione di riviste vintage, spiccava la copertina gialla dei Cahiers du cinéma, è il numero di giugno del ’59, dedicato a I 400 colpi di François Truffaut. Il cinema è al lavoro nella ville lumière e riproduce la primavera della sua Nouvelle Vague. Lungo l’avenue, una giovane donna coi capelli corti vende copie del New York Herald Tribune.
I passanti più accorti riconoscono uno dei leggendari passaggi di Fino all’ultimo respiro, il respiro intatto di Jean-Luc Godard, che incontra per sempre Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo. La bellezza del loro gesto travolgeva tutto e tutto quello che li circondava andava in frantumi, diventava improvvisamente démodé. Già allora, sembravano ritagliati da una rivista e incollati a un’epoca indifferente ai loro fanciulli ideali.
Ma la vita era dalla loro parte e il loro respiro soffia ancora oggi nel cinema di Richard Linklater, che ripercorre genesi e realizzazione di uno dei film seminali della Nouvelle Vague, finto gangster movie e vero film de chambre che ha infranto tutte le convenzioni della “qualità francese”: nuove inquadrature, nuovo suono, nuovo montaggio, nuovi corpi, nuove situazioni, nuovi dialoghi, nuove citazioni.


Nouvelle Vague di Richard Linklater
(Webphoto)L’autore americano, che ama la Francia e ha frequentato Parigi con la trilogia Before, incontrando ogni dieci anni “per un giorno” Ethan Hawke e Julie Delpy, va più lontano nella sua passione, filmando nella lingua di Molière un film sulla Nouvelle Vague come un film della Nouvelle Vague. Inseguendo la libertà disinvolta di Godard, Truffaut o Varda, Linklater ha cercato nei boulevard il suo Godard, il suo Rohmer, il suo Rivette, il suo Cocteau per incarnare l’atto di nascita del cinema moderno.
Ha cercato e trovato una nuova ondata di volti come il giovane parigino Guillaume Marbeck, che interpreta Godard in un gioco di mimetismo stordente per chi percorre accidentalmente o intenzionalmente i luoghi delle riprese. Coi suoi celebri occhiali neri e la sua calvizie incipiente, è facile per i flâneur riconoscere Godard sotto i tratti di Marbeck e l’intonazione della sua voce.
Linklater ha scelto attori sconosciuti per la loro somiglianza con le figure dell’epoca, ha scelto delle silhouette familiari perché nulla interferisca con l’incantesimo, perché la magia operi e perché lo spettatore si senta proiettato al loro fianco alla fine degli anni Cinquanta. Ha chiesto ai suoi giovani debuttanti di ripetere le scene più rapidamente e con più ardore, come se volesse aderire il più possibile al ritmo dei film della Nouvelle Vague.
Linklater sa bene che la loro inalterabile freschezza deriva dal senso di urgenza che ha condotto la generazione di Godard a lasciare gli studios per aprirsi alla temporalità del mondo moderno, accogliendo la spontaneità della giovinezza. Figura cruciale ma sottovalutata del cinema indipendente, l’autore texano ha scoperto Fino all’ultimo respiro a vent’anni e a sessantacinque rivendica l’influenza della Nouvelle Vague sul suo cinema. Il suo debutto, Slacker sembra girato seguendo le indicazioni di Fino all’ultimo respiro: nessuna sceneggiatura “commerciale”, nessun permesso di girare per strada, riprese disarticolate…


Nouvelle Vague di Richard Linklater
A suo agio nel passato (Tutti vogliono qualcosa!), Linklater si è tenuto a una ragionevole distanza da Hollywood, per cui ha realizzato una manciata di film (Newton Boys e School of Rock, il suo più grande successo), preferendo il polo artistico di Austin e il lato artistico delle cose. Versante unico che occupa dai suoi esordi, perché il cinema di Linklater è legato a filo doppio all’esistenza umana, non per quello che ha di quantificabile, ma per quello che ha di imponderabile.
La sua filmografia affascina per la sua eterogeneità, che ha lasciato a lungo perplessa la critica: film indipendenti o a grosso budget, documentari e animazioni, commedie romantiche e science fiction, come se nessuno dei suoi film dovesse assomigliare a quello precedente. Può girare in pochi giorni o in dodici anni (Boyhood), alternando supporti e metodi di produzione con un gusto per la sperimentazione mai ostentato. Che si imbarchi in un progetto molto personale o in una sceneggiatura più mainstream, scritta magari da terzi, Linklater ama passare del tempo coi suoi personaggi, ridefinendo con loro il racconto tradizionale. Dalla parte dei fratelli Lumière e della realtà, scolpisce il tempo e gira film come trattati sull’impermanenza delle cose.


Guillaume Marbeck sul set di Nouvelle Vague © Mathieu Zazzo (@matzazzo) pour les Cahiers du cinéma (Instagram)
Ma dove nasce questo straordinario appetito che lo ha portato ad attraversare tutti i generi del cinema americano? Cresciuto in una piccola comunità del Texas si stabilisce ventenne a Houston dove scopre, a colpi di seicento film all’anno, la Nouvelle Vague, il Nuovo Cinema tedesco, il cinema inglese... Una cinefilia compulsiva che ha Godard come centro di ammirazione e l’Austin Film Society, di cui è ancora direttore artistico, come fulcro culturale e accademico. Si spiega anche così il desiderio di rendere omaggio a Godard e a un’opera prima che è l’espressione più pura della giovinezza. E raramente quella stagione della vita è parsa così brillantemente inventiva come negli anni della Nouvelle Vague, quando una piccola troupe di registi compagni di giochi fomentava una rivoluzione senza esserne pienamente consapevole.
È probabile che Nouvelle Vague, storia in bianco e nero di una rivoluzione personale nel cinema guidata da un solo uomo e sostenuta da tutte le persone che lo circondano, parli oggi a una nuova generazione, comunicando la passione per un’arte che qualcuno dice in agonia. A guardarlo dall’altra parte della strada, il Godard di Linklater potrebbe essere un solitario, ma non è mai solo. Il suo personaggio non è quello di un demiurgo, ma di un esploratore inquieto attorno al quale brillano i suoi complici e un gioco di piste che ci auguriamo donino il desiderio di osare toujours, di creare, di imporre l’idea di un cinema che ancora non c’è.