Introdotto dal celebre Discorso all’Umanità del Grande Dittatore (recitato per l’occasione da Ottavia Piccolo), mercoledì 3 settembre si è svolto Parlare di speranza in tempi di guerra, evento organizzato da Fondazione Ente dello Spettacolo in collaborazione con Rcs MediaGroup, presso lo Spazio Incontri dell’Hotel Excelsior del Lido di Venezia. 

Ottavia Piccolo - Foto Gaia Callegaro
Ottavia Piccolo - Foto Gaia Callegaro

Ottavia Piccolo - Foto Gaia Callegaro

La prima parte dell’incontro, moderata dalla giornalista Elisabetta Soglio, ha dato voce alle testimonianze di due registi: la libanese Lana Daher (autrice del documentario Do You Love Me, presentato alle Giornate degli Autori) e l’iraniano di origine curda Fariborz Kamkari (che debuttò alla Biennale nel 2002 con Black Tape), la cui vocazione professionale è stata indelebilmente segnata dalla guerra. 

“La preparazione di Do You Love Me, che considero una lettera d’amore a Beirut e alla sua identità frammentata, è cominciata  nel 2018”, ha spiegato Lana Daher. “Dato che i nostri libri scolastici si fermano al 1949, l’idea era quella di raccontare settant’anni di storia audiovisiva libanese usando filmati d’archivio, documentari, riprese private, memorie di famiglia e pure podcast. Purtroppo non esiste un archivio nazionale, le informazioni sono sparpagliate ovunque e l’80% del mio lavoro è stato raccoglierle. Dal 2018 a oggi, però, in Libano è successo di tutto: la crisi economica, l’esplosione del porto di Beirut, il conflitto Israele-Hezbollah. Quindi il film si è evoluto da progetto storico in riflessione sulla memoria. Questi cicli di violenza continuano a ripetersi e sono stati documentati anche in passato. Viviamo in una realtà a cui servono dialogo e spirito nazionale”. 

Lana Daher e Fariborz Kamkari - Foto Gaia Callegaro
Lana Daher e Fariborz Kamkari - Foto Gaia Callegaro

Lana Daher e Fariborz Kamkari - Foto Gaia Callegaro

“Ho imparato l’italiano guardando i vostri film e il cinema mi ha regalato la speranza di poter raccontare la realtà in cui vivevo”, ha ricordato Fariborz Kamkari. “Appartengo a quella parte del mondo rimasta bloccata in logiche coloniali vecchie di cent’anni e vincolate all’idea di ridurre ogni territorio a un solo popolo, una sola cultura, una sola lingua. Essendo curdo, facevo parte dei cosiddetti ‘altri’ e il cinema mi ha aiutato non solo a farmi conoscere all’estero, ma a comunicare con i miei stessi connazionali”.

Il regista ha poi parlato del progetto indipendente grazie cui ha portato il cinema nei campi profughi di Siria e Kurdistan, “per far dialogare persone che la guerra ha separato e reso nemiche, cominciando dai bambini. La nostra prima tenda-cinema l’abbiamo chiamata Fellini, la seconda Rossellini. Lavoriamo anche in un campo di prigionia, dove sono confinati i familiari dell’ISIS: spero che la cinepresa e la macchina fotografica li salvino come hanno salvato me”. 

La seconda parte dell’evento ha visto Luciano Fontana (Direttore del Corriere della Sera) conversare con Alberto Barbera (Direttore Artistico del Settore Cinema della Biennale) che, invitato a fare un primo bilancio dell’82° Mostra, ha dichiarato: “È ricca di titoli forti, nomi prestigiosi e autori emergenti. Dai riscontri che sto ricevendo, mi sembra l’edizione più riuscita dei miei quattordici anni di direzione. Quando arrivai, nel 2012, l’obiettivo era riportare Venezia al suo passato glorioso. Oggi possiamo dire di aver raggiunto una gran parte dei risultati che auspicavamo”. 

Foto Gaia Callegaro
Foto Gaia Callegaro

Foto Gaia Callegaro

Alla domanda di Fontana se il cinema possa essere un canale di speranza e di mobilitazione, Barbera ha risposto: “Purtroppo nessun film ha mai impedito lo scoppio di una guerra, ma facciamo questo lavoro con la consapevolezza che il cinema è uno straordinario strumento, che può smuovere la nostra coscienza e, con film come The Voice of Hind Rajab, sollecitarci a reagire di fronte a eventi inaccettabili. Certo, non ha l’immediatezza della cronaca, però rappresenta un modo alternativo per riflettere sulla complessità di certi problemi. Inoltre il continuo flusso di notizie drammatiche ci porta a scordare in fretta tutto quello che è rimasto irrisolto. Quindi, ben vengano titoli come Il mago del Cremlino, in cui Olivier Assayas ha spiegato oltre trent’anni di storia sovietica e fornito a tutti una chiave di lettura per comprendere il percorso di Vladimir Putin. Vedo un fortissimo ritorno al cinema del reale e lo considero un fatto estremamente positivo”. 

Se le barricate sono la categoria esistenziale del momento, Barbera rivendica la Mostra come “uno spazio aperto, in cui sono banditi boicottaggi e censure. Siamo la cura all’odio fomentato dai social perché usiamo la cultura e il dialogo per comprendere le ragioni gli uni degli altri. Le polemiche sono inevitabili, ma lavoriamo per offrire allo spettatore uno sguardo a 360°, in modo da garantire una maggiore consapevolezza e prevenire tutte quelle constatazioni superficiali dettate da ideologie e dogmatismi”. 

Davide Milani e Elisabetta Soglio - Foto Gaia Callegaro
Davide Milani e Elisabetta Soglio - Foto Gaia Callegaro

Davide Milani e Elisabetta Soglio - Foto Gaia Callegaro

“Nessun artista può essere censurato per idee, credo o nazionalità”, ha concluso Don Davide Milani (Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo): “Alle parole di Papa Francesco, che ha paragonato le arti a delle città-rifugio da salvaguardare sempre, aggiungo quelle di Papa Leone, secondo cui l’arte dovrebbe essere un ponte verso tutti”.