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La morte di James Bond è uno degli inequivocabili punti d’arrivo della cosiddetta “cancel culture” al cinema: dopo 60 anni di onorato servizio come simbolo certificato del machismo hollywoodiano, di quello che i gender studies hanno sempre chiamato “sguardo scopico”, in No Time to Die del 2021 il Bond di Daniel Craig viene finalmente ucciso – per l’appunto, cancellato – da una batteria pirotecnica di missili che piove dal cielo rosseggiante dritta sulla testa dell’eroe, in lacrime perché non rivedrà più la piccola figlioletta, di cui conserva infilato nella cinta il peluche preferito, un coniglietto dou dou.
Vetta assoluta di decostruzione del maschile, James Bond con un pupazzetto ficcato dove solitamente tiene la pistola: “era Thunderball o Goldfinger in cui fondamentalmente il personaggio di Sean Connery violenta una donna?”, chiederà alla stampa provocatoriamente Cary Fukunaga, regista dell’ultimo Bond (scritto anche da Phoebe Waller-Bridge, la comedian della serie-simbolo Fleabag), per sottolineare come non ci sia più spazio per lo 007 “stupratore” di quei film.
Che cosa è successo insomma in questi anni? Nel 2024, il CEO di Walt Disney, Bob Iger, ammetterà pubblicamente di “aver perso di vista il nostro lavoro principale: dobbiamo concentrarci sull’intrattenimento, non sui messaggi” – la confessione arriva subito dopo il rapporto che dimostrava come l’azienda avesse perso oltre un miliardo di dollari nel 2023 a causa, come si legge nel rapporto stesso, degli “sforzi della società per raggiungere determinati obiettivi sociali”.