Ci sono carriere che si sviluppano con la prevedibilità delle traiettorie rette. E poi ci sono quelle che si muovono come onde: frastagliate, cangianti, inafferrabili. Lucy Liu appartiene a questa seconda, più rara, categoria. Attrice, regista, artista visiva, produttrice: la sua figura attraversa oltre trent’anni di cultura popolare sfuggendo a ogni incasellamento, come se ogni ruolo fosse solo una tappa provvisoria di un viaggio più vasto.

Alla 78ª edizione del Locarno Film Festival riceverà il Career Achievement Award e presenterà Rosemead, un dramma intimo e spigoloso che la vede protagonista nei panni di una madre alle prese con le contraddizioni del proprio passato. Ancora una volta, Lucy Liu dà corpo a una figura femminile che rifiuta l’univocità, abitata da tensioni e zone d’ombra. È un punto d’arrivo e, al tempo stesso, un nuovo inizio: la conferma che il percorso di un’artista non è mai una linea, ma una costellazione.

Dagli esordi in Ally McBeal, dove ha infranto stereotipi con ironia tagliente, alle iconiche sequenze di Kill Bill e Charlie’s Angels, Liu ha saputo imporsi con una presenza inconfondibile, capace di tenere insieme forza fisica e leggerezza, glamour e ambiguità. Non ha mai temuto la serialità né il mainstream, ma li ha sempre abitati con una consapevolezza che è propria delle figure autoriali. Attraversando generi, media e linguaggi – dalla commedia alla graphic novel, dal palcoscenico alle gallerie d’arte – ha costruito un'identità in continuo movimento.

In ogni ruolo, Lucy Liu lascia una traccia diversa. Non cerca l’identificazione, ma la dissonanza. La sua è una metamorfosi continua, un modo di essere presente che rifiuta il definitivo, che decostruisce e reinventa, come fanno gli artisti visivi con le forme e i materiali. Non interpreta personaggi: li scolpisce, li agita, li mette in crisi. E nel farlo, ci mostra che il potere delle immagini non sta nella loro fissità, ma nella capacità di contenere il possibile.

Oggi, più che mai, Lucy Liu incarna un’idea di arte come processo, come apertura, come resistenza alla semplificazione. E il riconoscimento del Festival di Locarno non è soltanto un tributo al suo percorso: è un invito a rileggere l’intera mappa dell’immaginario pop contemporaneo alla luce delle sue deviazioni. Perché ci sono attrici che restano icone. E poi ci sono quelle che diventano linguaggi.