PHOTO
Tabi to Hibi ©2025 Two Seasons, Two Strangers Production committee
Tabi to Hibi racconta di Lee, una sceneggiatrice coreana intenta a scrivere la trama di un film, mentre, nel frattempo, le scene a cui sta lavorando vengono visualizzate. Si tratta della storia di un ragazzo malinconico che incontra e frequenta una fanciulla durante la stagione estiva in una località balneare. Successivamente all’uscita del film a cui stava lavorando, Lee subisce la perdita di un suo importante mentore e, in piena crisi creativa, decide di partire. È inverno e la donna si reca in una località montana per cercare l’ispirazione che le permetta di scrivere un nuovo soggetto: qui trova alloggio in una locanda e fa la conoscenza del suo bizzarro proprietario.
Il titolo inglese del film, Two Seasons, Two Strangers, è fallace, dato che parla di due stagioni e due storie che in realtà sono tre: la prima racconta l’incontro estivo fra due ragazzi, mentre la seconda parte del lungometraggio si concentra sulla storia di un uomo di mezza età che vive solitario fra le montagne innevate. La terza storia è quella della sceneggiatrice fa da tramite fra le altre due: non a caso, stando all’abbigliamento dei personaggi e all’illuminazione, meno intensa rispetto alla vicenda precedente, il periodo in cui si colloca questo racconto mediano corrisponde all’autunno, cioè alla stagione di passaggio fra le altre due che costituiscono l’inizio e la fine del film.
Si tratta di tre storie minimali: povere di dettagli relativi alle vite dei protagonisti e incentrate non tanto sul racconto ma sull’accompagnamento di questi personaggi nella loro quotidianità, al fine di penetrare con gentilezza e tatto nella loro intimità e nella loro solitudine.
Sho Miyake realizza un film poetico e delicato, un haiku capace di raccontare l’animo umano tramite storie appena accennate e riflesse nella natura, nella forma sia del paesaggio che delle stagioni. Infatti, come questo genere poetico centrale della tradizione letteraria giapponese, anche Tabi to Hibi – film vincitore del Pardo d’Oro alla 78ma edizione del Locarno Film Festival – si lega all’ambiente e ai cicli dell’anno, oltre che a caratterizzarsi per una forma breve e per la capacità di evocare sentimenti e immagini con pochi elementi formali.
Centrali nell’economia espressiva del film sono i paesaggi: la poetica naturalistica fondata sulla bellezza dei luoghi viene perseguita tramite una resa estetizzante delle immagini. Ciò viene conseguito tramite numerosi fattori, il primo dei quali è la scelta radicale del formato: il regista decide di utilizzare un quadrato, cioè delle inquadrature con un rapporto fra lunghezza e larghezza di 1:1. Questa soluzione permette a Sho Miyake di realizzare un’estetica fondata sul rigore simmetrico delle immagini: non solo i personaggi si trovano spesso nel centro esatto corrispondente al punto in cui si incrociano le diagonali del quadrato, ma questa tendenza viene evidenziata ulteriormente tramite l’utilizzo di cornici naturali, ad esempio porte o aperture naturali come l’ingresso di una grotta, che finiscono col raddoppiare tanto il formato quadrato quanto la posizione dei soggetti al centro dell’immagine.
Al contempo, il rigore simmetrico viene stemperato dalla scelta del regista di dividere le inquadrature in tre parti orizzontali, corrispondenti al primo piano, allo sfondo e a un piano intermedio a cui è destinato il soggetto umano. Questa soluzione viene effettuata in concomitanza delle frequenti riprese in campi lunghi e lunghissimi che mostrano i magnifici paesaggi del film: dunque la tendenza alla simmetria viene stemperata sia dalla complessità e ricchezza di queste immagini panoramiche, che dal rapporto, suggestivo e dialettico, fra le linee diagonali e orizzontali che compongono le inquadrature.
Tramite la prevalenza dei valori formali su quelli narrativi, Tabi to Hibi simboleggia tanto la solitudine dei personaggi, stretti in inquadrature che li isolano fino a soffocarli, quanto il rapporto che li lega alla natura. Come un haiku, dunque, la delicatezza estetica riesce a farsi portatrice di significati profondi ma, al contempo, capaci di parlare ad ognuno di noi.