Eco lontana di aspirazioni incerte che calano pietose sulle asprezze dispotiche della concretezza, pace interiore o rassegnazione rivestita di fragili ipocrisie minime, cugine povere della poesia, consolazioni cui è negata la benedizione della forma? I giorni sono tutti perfetti e sono perfetti in tutto, unica carta che possiamo giocare al gioco bendato dell’esistenza. Sono perfetti i giorni della tragedia e della gioia, del martirio e della noia, perfetti i giorni del povero e del ricco, dell’umile e del potente, i giorni del carnefice e della vittima, dell'operaio, del banchiere, del vagabondo.

Non basta. Dobbiamo raccontarci una storia diversa, narrare narrazioni che a nostro modo di vedere giustificano ciò che non avrebbe necessità di giustificazione perché è come è senza le decorazioni superflue di significati immaginari e pretestuosi. Pensieri che mi vengono da una opera la cui finezza estetica poggia su una traccia inquieta e irrisolta come il convolvolo avvolto alla corda del pozzo nel celebre haiku della scrittrice giapponese Fukuda Chiyo-ni, spontanea fioritura di esistenza là dove è fortemente improbabile. Un risvolto taciuto nella maggior parte delle recensioni critiche, almeno quelle che ho avuto occasione di leggere, tutte intente alla glorificazione di una retorica che giova unicamente alla buona coscienza di una città cinica e incurante del sottobosco che la sostiene senza sosta e riconoscimento.

Kōji Yakusho in Perfect Days
Kōji Yakusho in Perfect Days

Kōji Yakusho in Perfect Days

Perfect Days, il lavoro di un Wim Wenders in età piuttosto avanzata, è il diario cristallino di una incongruenza di sistema che ci propone in chiave gentile il doppio legame socio antropologico colpevole con cui si dichiara ciò che nella realtà viene negato. La celebrazione della inesistenza altrui è una preda ambita per i propositi di un mondo che in fondo considera i giorni perfetti del protagonista, operatore ecologico dalla sensibilità non comune, come i gironi di contemplazione estatica suburbana a poco prezzo, chiosa perfetta di tutto ciò che la società vera, quella che si sente importante, considera di fatto un fallimento in piena regola.

Estensione narrativa del Tokyo Toilet, il progetto di riqualificazione urbana di Shibuya trasformato dalla visionarietà di Wenders in una sorta di vangelo dell’insignificanza immerso nell'aura del laico periferico salvifico. Per qualche ragione i giorni di questa contemporaneità strabica e contraddittoria legati alla morte del Papa più irrituale che la Chiesa abbia mai avuto mi hanno fatto pensare alle vicissitudini del sessantenne Hirayama e al suo percorso catartico tra un bagno pubblico e l’altro, anacoreta della working class che elegge a suo deserto i meandri collaterali di una delle metropoli più caotiche al mondo.

L’assillante tam-tam mediatico intorno alla figura di Bergoglio, uomo della fine del mondo che intendeva accendere un faro sugli ultimi, si è trasformato in occasione di rebranding per potenti in cerca di visibilità elette e marketing d’immagine a livelli planetari, trionfo che con gli ultimi non ha nulla a che fare, salvo servirsene come manifesto espiatorio di buone intenzioni da esporre a trofeo nelle occasioni importanti.

Perfect Days di Wim Wenders
Perfect Days di Wim Wenders

Perfect Days di Wim Wenders

Così la narrazione del dissolvimento lento e silenzioso di Hirayama tra bagni pubblici di design e visioni discrete da un lato permette di empatizzare con una perfezione quotidiana operatore dipendente accuratamente marginalizzata dal consesso sociale, dall’altro ne sottolinea il carattere di sconfitta senza ritorno.

Il film è una soggettiva sorprendente su cui solo maestri come Wenders possono costruire un intero progetto cinematografico dedicato agli invisibili utili alle comunità e da queste relegati nel deprofundis della dimenticanza. Una solitudine distillata in piccoli dettagli che sembrano impreziosirla, e forse in qualche modo ci riescono, commoventi spiragli, partite a tris come messaggi in bottiglia per naufraghi dell'esistenza cui aggrapparsi per non scomparire del tutto.

Al di là di ciò che è bello dire, al di là della possibilità individuale di riscatto e lucidità profetica, Perfect Days è la cronaca quotidiana del processo doloroso che obbliga a fare di necessità virtù. Siamo piccoli incidenti che impollinano un territorio di eventi imprevedibili, qualcuno fa più chiasso, altri meno. Una constatazione amara e sincera, a ciascuno ricostruire la dignità del proprio volto che la società non riconosce se non ne ricava profitto, certa che i tuoi giorni saranno perfetti se mimetizzati nelle utopie della rigenerazione urbana.