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Anna Karina e Jean-Paul Belmondo in Il bandito delle 11
Serge Toubiana (Sora, Tunisia, 1946) è uno dei più celebri critici cinematografici d’oltralpe. Dal 1972 ha fatto parte della redazione dei Cahiers du cinéma, diventandone condirettore nel 1981 e direttore unico nel 1991, per poi presiedere la Cinémathèque française dal 2003 al 2016.
Ci racconta il suo rapporto personale e professionale con la Nouvelle Vague?
A 16 anni, nel 1965, vidi Il bandito delle 11 di Jean-Luc Godard e quel film mi cambiò la vita, facendomi capire, in modo intimo, poetico e politico insieme, che il cinema era capace di suscitare emozioni forti quanto i romanzi, i dipinti e la musica, che peraltro sono presenti anche in Il bandito delle 11 (le musiche sono di Antoine Duhamel) e, grazie al talento di Jean-Luc Godard, il cinema conferisce loro una potenza emotiva incredibilmente più forte. Da quel momento sono diventato un appassionato di cinema e mi sono interessato alla Nouvelle Vague, perché era in sintonia con i tempi. I film di Godard, Truffaut, Chabrol, Rohmer, più quelli di Jacques Demy e Alain Resnais (La guerra è finita, visto nel 1966, ebbe su di me un grande impatto), mi parlavano degli anni Sessanta in tono libero e soggettivo.


Quali sono stati gli autori fondamentali della Nouvelle Vague?
Fu Truffaut a farla conoscere al mondo grazie al successo di I 400 colpi, che a Cannes nel 1959 vinse il Premio per la miglior regia. L'anno successivo Godard diresse Fino all’ultimo respiro, un vero e proprio fulmine a ciel sereno nel cinema mondiale, stravolgendo tutte le regole, mostrando un'incredibile audacia con una certa disinvoltura, proprio come il suo attore principale, Jean-Paul Belmondo, che inventò uno stile di recitazione unico e sorprendente. Oltre a Truffaut e Godard non vanno dimenticati Rohmer, la cui notorietà arrivò con La mia notte con Maud (1969), Chabrol, poi Rivette, Demy e gli altri. Si trattava di un gruppo di cineasti, la maggior parte dei quali ex critici dei Cahiers du cinéma e dell’influente settimanale culturale Arts, legati dall'appartenenza alla stessa rivista, e dalla fedeltà ad André Bazin, il grande critico cinematografico dell'epoca “educato” da Henri Langlois, il capo della Cinémathèque française. Quella fu la prima generazione di cineasti-cinefili che, per la maggior parte, non avevano intrapreso la strada tradizionale della regia facendo gli assistenti di cineasti affermati: questo costituiva l'identità originale della Nouvelle Vague. Ma ognuno aveva la propria personalità, il proprio stile…