PHOTO
Claudia Cardinale in 8 ½ (Webphoto)
Claudia Cardinale è morta all'età di 87 anni a Nemours, in Francia: a comunicarlo è il suo agente all’Afp.
Meno monumentale di Sophia Loren e più selvatica di Gina Lollobrigida, più esotica di Stefania Sandrelli e meno impenetrabile di Silvana Mangano, Claudia Cardinale è stata molte cose, ma forse a trovare una sintesi mirabile fu Leonardo DiCaprio, che qualche tempo fa la definì “la donna più bella del mondo”. Una definizione semplice, schietta, esemplare. D’altronde, all’apice dello splendore, l’immagine della diva rispecchiava un’apoteosi di un’italianità moderna, disinvolta, selvaggia. Si può parlare di Claudia Cardinale senza parlare della sua bellezza?
Giunta al successo qualche anno dopo le maggiorata, il momento di massima gloria di Cardinale ha coinciso con quello di massima gloria del cinema italiano. Di lei sapevamo tutto: il premio come “italiana più bella di Tunisi” (città in cui nacque il 15 aprile 1938), l’esordio in Italia dopo due film in Francia diretta da Mario Monicelli (e che esordio: I soliti ignoti), l’unione professionale e matrimoniale (non esattamente felicissima) con il produttore Franco Cristaldi, la gravidanza segreta, il figlio nato da uno stupro e per anni spacciato per fratello minore, il gossip (perfino presidenziale, leggi alla voce Chirac), l’amore fumantino con Pasquale Squitieri, i ruoli per i grandi autori…


Claudia Cardinale (Angelo Frontoni/CSC - Cineteca Nazionale - Museo Nazionale del Cinema)
Fa tremare i polsi leggere la sterminata filmografia di Claudia Cardinale. Per la ricchezza, la densità, il profluvio di talenti. Ha lavorato con quasi tutti, e a tutti ha regalato un raggio del suo naturale bagliore. E non fa impressione che, quando il cinema italiano ha cominciato a diventare troppo piccolo per divi così grandi, come Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman o la stessa Sophia Loren per certi versi è stata accolta sui set di qualunque parte del mondo.
La domanda, in fondo, è banale: il cinema italiano ha dato a Claudia quanto Claudia ha dato al cinema italiano? Cosa ha dato lei? Il corpo di una donna indipendente che poteva essere fiera aristocratica o seducente popolana. Gli occhi felini di una ragazza capace di alternare l’allegra malizia della seduzione all’inesorabile malinconia dei ricordi indelebili. La recitazione dolce ed affascinante, di sfacciata naturalezza e consapevole architettura, di un’attrice consapevole di reinterpretare la propria intrigante spontaneità. L’irresistibile voce roca abbrustolita da troppe sigarette.


Claudia Cardinale in Il gattopardo © TITANUS (Webphoto)
A ventidue anni ha già lavorato con Pietro Germi (Un maledetto imbroglio) e Luchino Visconti, che dopo Rocco e i suoi fratelli (1960) diventa uno dei suoi registi preferiti: inutile ribadire tutte le leggende dietro Il gattopardo (1963: le impone di mordersi le labbra fino a farle sanguinare per sottolineare la bellezza senza ritegno dell’arricchita Angelica Sedara; e la vediamo così, mentre si morde il labbro inferiore, anche sulla prima copertina di Blonde on Blonde di Bob Dylan), più curioso ricordarla perno della tragedia familiare Vaghe stelle dell’Orsa… (1965) e apparizione onirica in Gruppo di famiglia in un interno (1974). Ma, forse, è Mauro Bolognini a darle le occasioni migliori, dalla “vittima” de Il bell’Antonio (1960) all’amore tossico di Jean-Paul Belmondo in La viaccia (1961) passando per la scandalosa ossessione di Senilità (1962) fino al meraviglioso ruolo anarchico del sottovalutato Libera, amore mio (1975), suo capolavoro d’attrice.
Se Valerio Zurlini ne plasma lo statuto iconico in quel magnifico melodramma di formazione che è La ragazza con la valigia (1961, la doppia Adriana Asti, ma l’immagine di lei che in accappatoio scende le scale ne sulle note di Celeste Aida è mitologica), sono Federico Fellini in 8 ½ (1963) e Luigi Comencini in La ragazza di Bube (1964) a restituirle la voce, l’uno giocando con la malizia della seduttrice e l’altro con l’autenticità dell’eroina popolare (che meraviglia l’incontro, sette anni dopo, con Bube, di cui avrebbe potuto essere la ragazza per sempre). Senza dimenticare Antonio Pietrangeli, che la inserisce nella sua galleria di ritratti femminili grazie al divertente Il magnifico cornuto (1964).


Claudia Cardinale in Il giorno della civetta di Damiano Damiani
La doppiano anche all’apice della fama (a pensarci è prevalentemente l’immensa Rita Savagnone), dall’epocale C’era una volta il West di Sergio Leone (1968: esiste un’entrata in scena più spettacolare e memorabile, complice Ennio Morricone?) al mafia movie Il giorno della civetta di Damiano Damiani (1968) ma anche il corale antipapalino Nell’anno del Signore, Luigi Magni (1969: i suoi primi piani sono un colpo al cuore) e nelle sue tante avventure all’estero, in primis il western esplosivo I professionisti di Richard Brooks (1966).
Ovviamente da incorniciare quando recita con la sua voce, dalla spumeggiante commedia malinconica Bello, onesto, emigrato Australia, sposerebbe compaesana illibata di Luigi Zampa (1971) al surreale L’udienza di Marco Ferreri (1972) fino alle molte performance al servizio di Squitieri (citiamo almeno il misconosciuto L’arma, 1978) e alle interpretazioni più mature come Enrico IV di Marco Bellocchio (1984) e La storia di Comencini (1986). Amata nel mondo, trova grandi occasioni nella commedia (La Pantera Rosa di Blake Edwards, 1963) e nelle superproduzioni (La tenda rossa di Michail Kalatozov, 1969), nei cult (Le pistolere di Christian-Jaque, 1972) e nelle monumentali follie d’artista (Fitzcarraldo di Werner Herzog, 1982). E, non contenta di essere già quel che era, si lanciò pure nella musica, regalandoci perfino chicche di discomusic.


Claudia Cardinale in Fitzcarraldo
Negli ultimi quattro decenni, i film italiani in cui ha lavorato si contano sulle dita di una mano o poco più. Perché? In fondo anche Loren, Lollobrigida, ma anche Monica Vitti finché ha potuto, Rosanna Schiaffino, Rossana Podestà, Sandra Milo, Giovanna Ralli e tutte le attrici della loro generazione sono state messe da parte, chi per scelta personale e chi perché, molto semplicemente, non riceveva proposte all’altezza. È la famosa questione, nel contesto italiano, sulla mancanza di lavoro per le attrici dopo i quaranta-cinquanta anni.
Eppure il problema di Claudia era diverso: la sua carriera dopo i quarant’anni è stata forse meno scintillante rispetto alla prima parte, ma è talmente corposa e stratificata da meritare un’attenzione speciale, anche per ripensare il profilo di un’attrice davvero cosmopolita ed eclettica, capace di adattarsi tanto alle divagazioni di Claude Lelouch (And Now… Ladies & Gentlemen, 2002) così come alla sfida finale di Manoel de Oliveira (Gebo e l’ombra, 2012) e al dittico armeno di Henri Verneuil (Mayrig e Quella strada chiamata paradiso, 1991-1992).


Claudia Cardinale (Annex)
In realtà, già negli anni sessanta Claudia recitava in Italia e all’estero: il punto è che la crisi di idee del cinema italiano le ha tolto uno spazio d’azione, relegando la sua attività principalmente fuori dalla madrepatria e specialmente nella Francia scelta come casa. E allora forse è vero che, al di là del ricordo di un intramontabile ma remoto divismo, Claudia Cardinale non è stata valorizzata da un cinema pigro nel pensare ruoli per donne non più giovanissime, specie se pensiamo a Stefania Sandrelli che ha dovuto incardinare la sua figura su infinite variazione del materno.
Oggi, nel giorno della sua morte, è spettacolare rileggere la sua filmografia, quasi impossibile definirla con poche parole o trovare quelle giuste per spiegare le sue apparizioni più clamorose. Forse, alla fine, si torna sempre alla sua grande bellezza, eternata per sempre come nella copertina de La bella confusione, il libro che Francesco Piccolo ha dedicato alla “sfida” tra i due capolavori italiani usciti nel 1963, 8 ½ e Il gattopardo. Due film che hanno in comune Claudia Cardinale.