Attrice amata, interprete di culto, figura magnetica, la sua presenza sullo schermo ha attraversato epoche, generi e stili, lasciando un segno inconfondibile in ognuno. Ma più che un volto riconoscibile, Claudia Cardinale è stata una presenza, un’idea di femminilità che ha saputo coniugare forza e grazia, sensualità e pudore, classicità e modernità.

Quella che segue è una galleria che ripercorre le scene e i ruoli che hanno scolpito il mito, restituendoci la potenza della sua icona in un mosaico di sequenze divenute archetipiche: il valzer in Il Gattopardo, l’arrivo nella stazione polverosa di C’era una volta il West, il volto smarrito e orgoglioso di La ragazza con la valigia, la dolcezza imperscrutabile della “donna in bianco” di 8 ½.

Il Gattopardo di Luchino Visconti (1963)

Il ballo a Donnafugata. L’ingresso di Angelica Sedara e il valzer con il Principe di Salina: apoteosi di eleganza, potere e desiderio. Cardinale catalizza lo sguardo: abito bianco e silhouette scolpita da Piero Tosi, luce calda e candelabri della fotografia di Giuseppe Rotunno, drammaturgia sociale in movimento. La musica intreccia Nino Rota e un valzer di Verdi impiegato nella scena del ballo.


8 ½ di Federico Fellini (1963)

La donna in bianco. Claudia appare a Guido come epifania luminosa, figura-chiave che attraversa corridoi e stanze come un’apparizione rassicurante. È l’idea di musealità fatta persona: presenza “ideale” che organizza il caos interiore del protagonista, icona della femminilità felliniana.


C’era una volta il West di Sergio Leone (1968)

L’arrivo di Jill a Flagstone. Lo sbarco dalla stazione e il grandioso movimento di macchina che svela la città: Jill diventa il nuovo “volto” dell’epopea western. Leone riscrive il western mettendo una donna al centro dell’azione e del mito; Morricone le dedica un tema autonomo (Jill’s Theme) che la rende immediatamente riconoscibile.


La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini (1961)

Aida, la camminata infinita. Aida sola con la sua valigia fra stazioni, sottoscala e periferie: un moto perpetuo che diventa ritratto generazionale. È la nascita della “Cardinale attrice”: non più solo bellezza, ma vulnerabilità e fierezza, cinema sentimentale e sociale insieme.


La Pantera Rosa di Blake Edwards (1963)

Dala, il ballo e l’après-ski. Cortina, feste e masquerade: la principessa Dala entra in scena in abiti haute couture. Yves Saint Laurent veste Cardinale (e Capucine): la moda diventa mitologia pop, la sua figura fonde regalità e ironia nella cornice glamour del caper anni ’60.


Il magnifico cornuto di Antonio Pietrangeli (1964)

Camera da letto & gelosia. I duetti privati tra Maria Grazia e Andrea (Tognazzi): carezze, specchi, fraintendimenti. La commedia coniugale diventa anatomia del desiderio e della paranoia maschile; Cardinale è al tempo stesso oggetto dello sguardo e soggetto di una sottile regia delle emozioni. (Restauro e rilanci recenti confermano la centralità del film nel canone di Pietrangeli).


I professionisti di Richard Brooks (1966)

Il canyon minato. La fuga attraverso il canyon carico di dinamite e il rovesciamento: Maria non è la vittima da salvare, ma una donna che sceglie. In un western d’azione classico, Cardinale imprime forza e autonomia al personaggio; la fotografia di Conrad L. Hall cesella i primi piani e i contrasti del deserto.


Il giorno della civetta di Damiano Damiani (1968)

L’interrogatorio di Rosa Nicolosi. Rosa, vedova e testimone, davanti al capitano Bellodi: dignità, paura, verità a fatica pronunciata. È il volto civile del cinema italiano che chiama le cose per nome; Cardinale vinse il David di Donatello per questa interpretazione.


La ragazza di Bube di Luigi Comencini (1964)

Il congedo finale. Mara davanti al carcere, poi l’addio a Stefano: scelta morale come gesto d’amore. Il primo, grande ruolo “adulto” che ne scolpisce lo status drammatico (Nastro d’Argento a Cardinale; fotografia di Gianni Di Venanzo).


Un maledetto imbroglio di Pietro Germi (1959)

L’innocenza ferita. La sequenza. Assuntina/Jacovacci colta tra delitto e sospetto: la macchina da presa di Germi la fissa in primi piani che rivelano timbro e magnetismo dell’esordiente. È la “prova del fuoco”: Cardinale stessa la considerava il primo vero banco d’attore.


Fitzcarraldo di Werner Herzog (1982)

“Solo i sognatori muovono le montagne”. Molly sostiene l’utopia folle di Kinski: una manciata di scene, un’energia materna che sigilla la sua seconda vita d’attrice internazionale. Poche apparizioni, ma memorabili: la sua aura dialoga con il mito herzoghiano dell’impossibile.