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Wild Nights, Tamed Beasts
È accompagnato dal mistero l’incedere di Ye Xiaolin (Wan Qian), donna che l’esordiente Wang Tong prova a “pedinare” per catturarne le intenzioni.
“La situazione di sua madre è molto complicata. Qualsiasi cosa dovesse succedere da qui a un mese dovete comunque pagarmi l’intero stipendio mensile”: è questa la frase tipo che la 37enne utilizza al momento dell’assunzione, ogni volta che i familiari di qualche anziano bisognoso di cure la prendono come badante.
Efficiente e precisa, affronta sia l'assistenza che l'omicidio con la stessa meticolosa attenzione ai dettagli: sì, perché Xiaolin è un “angelo della morte”. Ma il suo modus operandi potrebbe intopparsi quando inizierà a prendersi cura di un uomo colpito da due ictus, padre di Ma Deyong (Rao Xiaozhi), quest’ultimo zoppo a causa di una poliomielite congenita, alcolizzato e guardiano di uno zoo abbandonato, dove a fargli compagnia è rimasto solo un vecchio leone che aspetta solamente di morire.
Wild Nights, Tamed Beasts è il bellissimo titolo di questo neo-noir cinese – in concorso Progressive Cinema alla Festa di Roma dopo il passaggio allo Shanghai International Film Festival – che trae ispirazione dalla reale storia di un’assistente sanitaria accusata dell’omicidio di una dozzina di persone anziane: è lo spunto che basta a Wang Tong per confezionare quest’opera prima che vira sia verso il thriller sia verso il romance disperato, incentrata ovviamente sul dramma dell’invecchiamento e sull’ambiguità relativa al “prendersi cura”. Ma, come da titolo, Wang tenta anche la strada di un parallelismo relativo all’addomesticare tanto la nostra natura (la linea narrativa delle tensioni familiari tra i fratelli e Deyong, ovviamente la pecora nera della famiglia) quanto quella del corso degli eventi (l’esistenza tutta del leone, trascorsa in cattività).
Il film è indubbiamente affascinante, il regista non si accontenta di inquadrature e atmosfere banali, ma al tempo stesso eccede con alcune scelte formali (le virate in blu della fotografia, gli split-screen) che tendono ad appesantire il racconto, costantemente in bilico tra momenti di grande suggestione e passaggi rivedibili. Una discontinuità che non giova al ritmo (anche emotivo) di questo esordio, ma che non mina le enormi potenzialità di un filmmaker di cui sentiremo ancora parlare.



