Guardare in faccia i populisti, gli autoritari e autocrati che negli ultimi anni hanno messo in pericolo le democrazie in più parti del mondo, dalla Russia e le sue repubbliche satelliti fino all’America Latina, passando per l’Europa degli Orban: è l’obiettivo che si pone The Regime - Il palazzo del potere, la miniserie creata da Will Tracy per HBO e diffusa in Italia da Sky (in streaming su NOW).

Tracy è diventato uno dei nomi caldi della serialità televisiva contemporanea dopo aver creato Succession e in questa nuova avventura cerca di fare un salto di qualità e di ambizione, portando la sottile satira realistica della serie con Brian Cox a un livello di astrazione e stilizzazione, nonché di umorismo nero decisamente più alto: la protagonista è Elena Vernham (Kate Winslet), cancelliera di un immaginario stato centro-europeo che governa in modo non distante da una dittatura e proprio come una dittatrice è vittima tanto delle proprie paranoie e idiosincrasie (per esempio, non vuole che le si respiri accanto, la temperatura e l’umidità degli ambienti deve essere sempre controllata), quanto dal dissenso interno che poco a poco sembra portare il suo governo sull’orlo del disastro. Aiutata da Herbert Zubak (Matthias Schoenaerts), militare caduto in disgrazia per aver compiuto un massacro di minatori che diventerà un fidato collaboratore, la cancelliera cercherà di restare in piedi, a ogni costo.

Sei episodi, sceneggiati da Tracy con Sarah DeLappe,Juli Weiner, Seth Reiss, Gary Shteyngart e Jen Spyra per la regia di Stephen Frears e Jessica Hobbs, per tratteggiare la caricatura onnicomprensiva dei tiranni contemporanei, quelli delle dittature soft, quelli che si dicono democratici perché allestiscono elezioni farsa, che si dicono amici degli operai pochi secondi prima o dopo averne represso le manifestazioni. Lo fa con humour scuro, tratti grotteschi e distopici evidenti fin dai colori, dalle scenografie, dai costumi, mescolando le tendenze destrorse con quelle finto-socialiste, la conservazione reazionaria e le rivoluzioni nazionaliste.

The Regime - Il palazzo del potere
The Regime - Il palazzo del potere

The Regime - Il palazzo del potere

(Sky/NOW)

Dal punto di vista politico-narrativo, The Regime tiene il piede in diverse staffe, mescola l’ironia acre che viene dal lavoro di Armando Iannucci, che per HBO realizzò l’irresistibile Veep su un’ipotetica vice-presidente statunitense, ispirato a un suo precedente lavoro britannico, mentre per il cinema diresse Morto Stalin, se ne fa un altro che sembra proprio la principale fonte di ispirazione della miniserie, con il gusto dell’intrigo, dell’intreccio di stampo “shakespeariano” in cui il capo non si fida di nessuno, nessuno si fida del capo e tutti tramano alle spalle degli altri per il potere, prima che per la libertà.

Quella che vuole essere un’ampiezza di vedute che toglie la scrittura dalle maglie dell’ideologia, o perlomeno del rischio di incappare in polemiche politiche e diplomatiche, si trasforma però nel corso degli episodi in approssimazione, in sguardo generico che rischia di rendere generica anche la riflessione. L’obiettivo probabilmente era quello di trovare i fili comuni tra i diversi tipi di autocrazia e democrazie a responsabilità limitata, magari con l’auspicio di mostrare i germi della tirannia qualora si presentino (culto della personalità, uso dei media, propaganda, autarchia e neo-colonialismo, eccetera), ma ciò che resta allo spettatore è un breviario un po’ superficiale che sembra non voler trovare un vero bersaglio. Paradossalmente, il suo punto debole è anche il suo principale atout, ossia Kate Winslet: l’attrice è mattatrice assoluta, artefice di tutta una serie di tic e gesti che se da un lato sfiorano il birignao, dall’altro danno corpo e personalità al personaggio (su tutti, il modo di parlare, il lieve impedimento alla bocca che tramuta la sicurezza del ruolo in fragilità), eppure mangiandosi la miniserie, come la Cancelliera si mangia il paese, fa cadere The Regime in due errori abbastanza gravi.

The Regime - Il palazzo del potere
The Regime - Il palazzo del potere

The Regime - Il palazzo del potere

(Sky/NOW)

Uno è che crea un vuoto attorno a sé, priva gli altri personaggi di spessore e la costringe quindi a lottare contro sé stessa, senza corrispettivi di pari dignità, se non in parte il “macellaio” di Schoenaerts, togliendo così nerbo all’intero racconto e allo sviluppo delle situazioni. Per esempio, i suoi rivali politici interni o esterni (tra cui Hugh Grant) sono al limite della macchietta o della trovata estemporanea, mentre il marito, interpretato dal bravo Guillaume Gallienne, resta sacrificato nel minutaggio. L’altro errore è che la concentrazione su un personaggio simile, pur nei suoi difetti e atrocità, senza un degno contrappeso morale prima che narrativo, crea una sorta di empatia, magari involontaria, rendendo quindi molto difficile organizzarci intorno un discorso politico, anche se retto dall’umorismo.

The Regime - Il palazzo del potere (il titolo di lavorazione era proprio The Palace, cambiato per la concomitanza del film di Roman Polanski) è come un fucile le cui munizioni sparano a salve, mentre i cecchini dietro di lui sbagliano bersaglio: certo, la confezione è di primissimo ordine, al limite della leziosità (le musiche di Alexandre Desplat) e gli attori sono degni della tv di prestigio di cui la miniserie fa parte, ma non riesce davvero né a innescare la risata fosca e amara che vorrebbe, né a intrigare come lavoro serio sul reale. Resta altresì fumosa la materia politica alla base, seppure l’intento fosse chiaro: all’opera di Tracy e soci, restano solo la prova di una delle più grandi attrici del nostro tempo - con ciò che ne consegue, come abbiamo detto - e la consapevolezza di essere dalla parte della ragione politica. Forse è un po’ pochino, per una produzione simile.