Stella Gemella, il nuovo di Luca Lucini, non è un bel film. È utile, però, a illuminare alcune difficoltà ricorrenti nel cinema italiano qui e ora, ovvero: soggetti, meno, idee o ideuzze scambiate e spacciate per sceneggiature; asfissia drammaturgica; recitazione alla cave canem; regia di mero servizio; rifiuto del conflitto poetico, ossia socioantropico; minimismo sentimentale; infantilismo ideologico; rassicurazioni generali; torpore all’italiana, in guisa della commedia all’italiana; didascalismi assortiti e morale della fava; oleografismo diffuso; impegno per topping; volontarismo; luogocomunismo con spruzzatine woke e/o anti-woke alla bisogna.

Produzione Eagle Original Content, dove l’accento invero poco tonico cadrebbe su Original, con Rai Cinema, annovera nel cast Martina Gatti, Matteo Olivetti, Margherita Buy, Laura Morante, Eugenia Costantini e Jimi Durotoje e s’alloca – e s’allocca - alla 20a Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, che più che da auspicio suona quale utopia.

Comunque, ché le parole sono importanti, lasciamo parlare la sinossi: “Una commedia contemporanea che racconta una storia di crisi e cambiamento attraverso Stella, una trentenne schiacciata dalla routine che abbandona la provincia in cui è cresciuta, tutte le certezze e il suo amore di sempre, Achille, per ritrovare la libertà” – e beato chi c’ha n’occhio.

A impreziosire, in quota appunto didascalicissima, “il brano Stella, una produzione originale di Carl Brave”, dove l’accento invero poco tonico cadrebbe su originale, c’è che Stella (Gatti) un po’ per noia un po’ perché così mi diverto un po’ fa pagare a Achille (Olivetti), con cui sta da quando aveva(no) 15 anni, il Rolex che improvvidamente si compra con una notte di passione con Gil (Durotoje), che è – ancora l’ineffabile sinossi – “uno chef afrodiscendente dalla mentalità aperta e il sorriso contagioso”. Tenetevi, “proprio quella notte accade l’impensabile: Stella rimane incinta. Sì, ma di tutti e due gli uomini (Gil e Achille, che al ritorno a casa della moglie si fa trovare sull’attenti, NdR). Come sia possibile glielo spiega il ginecologo al parto: si tratta di fecondazione etero-parentale, un fenomeno rarissimo”.

Malgrado il suddetto fenomeno rarissimo e gli “original” e “originale” di cui sopra, Stella gemella, al cui canovaccio hanno “contribuito” dodici occhi (Davide Lisino, Luca Lucini, Greta Scicchitano, Marta Storti e Ilaria Storti, con la collaborazione di Riccardo Cassini), è dentro l’ordinario, si domicilia nello scontato – e ahinoi scontabile. Da una parte, Gil e il Citalopram, in quota alla mamma di Stella (Buy), macchietta della depressione (sì, arriverà il litio), con il primo che non è de’ gampagna e la seconda che c’ha il sorrisetto superiore; dall’altra, la madre di lui (Morante), il fratello di lui, che punta a essere rieletto sindaco con i manifesti “Semplicemente Famiglia”, e lui stesso, Achille, che carica e scarica ortofrutta, è de’ gambagna e bocca buona.

Ma, appunto, non c’è autentico conflitto, nemmeno quello oleografico di Ferie d’agosto e, vieppiù, del sequel, bensì le ragioni degli uni e degli altri che si sciolgono nel volemose bene, nel “sarai sempre il padre dei miei figli” e in un posto da autista di autobus per andare avanti, e oltre – e va be’.

Mai seria, nemmeno faceta, è una commedia che lascia l’avito scambio in culla per il raddoppio con superfecondazione eteroparentale, tanto per aggiornarsi un po’, ma tratta il tutto con manifesta superficialità e scavetto psicologico. Devono aver pensato, Lucini e i suoi, come Stefano Accorsi col Maxibon: du’ padr is megl che uan. E dai col bianco&nero. Sì, la superfecondazione ha partorito un filmetto.