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Joachim Trier, norvegese classe 1974 esperto di relazioni, sensazioni, sentimenti. Nel mondo, non del mondo, sempre in campo, e in partita, laddove si dica dell’umano.
In concorso a Cannes 2025, con titolo ineffabile: Sentimental Value. Interpretato da Renate Reinsve, che con il precedente di Trier La persona peggiore del mondo si laureò migliore attrice a Cannes 2021, Stellan Skarsgård, Inga Ibsdotter Lilleaas e Elle Fanning, il suo sesto film in intimità, con commozione e per la vita esplora, perfino viviseziona senza crudeltà, famiglia, memoria e potere riconciliatorio dell'arte.
Affeksjonverdi ("Valore sentimentale”) in originale, inquadra un regista di (ex) successo e padre – due figli come lo stesso Trier – sanzionabile: quando l’ex moglie muore, Gustav (Skarsgård, che fuoriclasse) torna, e ritrova dopo lungo tempo Nora (Reinsve) e Agnes (Lilleaas). Alla prima, attrice, offre nel suo prossimo film, dal voltaggio autobiografico e vieppiù tragico, il ruolo di protagonista: la nonna, ovvero la madre di Gustav, morta suicida. Nora recede, e il rifiuto per quel padre estraniato pertiene in diversa misura pure a Agnes. Sicché Gustav opta per una giovane star hollywoodiana, Rachel Kempf (Fanning), ma la designazione riporta a galla ricordi dolorosi e dolenti, che né padre né figlie potranno ignorare.
"Abbiamo questo rapporto impossibile tra una figlia (Nora, NdR) e un padre, che è quasi come una triste storia d'amore. Ma i due sono così simili. Nella casa della vita creativa, possono davvero incontrarsi", osserva Trier, che ad hoc istruisce duplici convergenze parallele: tra arte e vita, tra Nora e Gustav.
Il fazzoletto è correlato oggettivo, e combinato disposto, in platea, ché la tranche de vie è gustosa di lacrime, tagliata senza accetta ma con nitore dall’esistenza di molti, di tutti, e servita su schermo con dovizia di sfumature, aneliti, battiti e puncicate: che sarebbe di Sentimental Value, senza la punteggiatura emotiva del copione di Trier e Eskil Vogt, senza le prove intense, vitali e, sì, vere dei suoi straordinari interpreti?
Ben poca cosa, ma è proprio la realizzazione che eleva a potenza un film classico, solido e un po’ scoperto, la fattura che fa l’opera – e il passato nel campo di concentramento della nonna, torturata per propaganda antinazista, non è meramente d’occasione.
Insomma, un peana alle virtù attoriali, un Effetto non più notte, ma famiglia, in cui lo stato è – letteralmente – dell’arte: si chiama sublimazione.